Colpevoli fino a prova contraria
Davanti alla legge non siamo tutti uguali.
Che “Il fatto non costituisce reato”, andiamolo a spiegare alle vittime.
Nelle ultime settimane, il caso della studentessa, che aveva denunciato di aver subito molestie da un collaboratore scolastico della scuola che frequentava, ha fatto parlare chiunque: a favore e contro la sua narrazione dei fatti.
Faccio un piccolo inciso. Con l’espressione narrazione dei fatti si fa riferimento a fatti che possono essere narrati, dunque soggetti a interpretazione a seconda del modo in cui si narrano. Questo avviene nella maggior parte dei casi, quando si racconta una discussione, una lite, anche un incidente. Eppure ci sono fatti che non si narrano, semplicemente si descrivono. E una palpatina può descriversi con tante parole, più o meno esplicite, ma non ha bisogno di essere narrata.
Il bidello è stato assolto, poiché il toccamento a scapito della studentessa ha avuto una durata troppo breve – tra i 5 e i 10 secondi, non misurabile con esattezza – ma soprattutto senza l’intenzione di molestare la giovane.
Vediamo un esempio di narrazione dei fatti. La giovane si è sentita molestata, ma il soggetto accusato non aveva intenzione di farlo, dunque non è colpevole. Colpevole è la giovane che, non solo ha pensato lui volesse abusare di lei, ma ha creduto di avere ragione a tal punto da denunciarne l’abuso.
Un po’ come sparare e dire che, comunque, io quella persona non la volevo ammazzare. E intanto è morta.
Il risultato dei due eventi, seppure nella loro evidente differenza, ha molto in comune: in entrambi, la voce della vittima è muta. Nel caso dell’omicidio, perché la vittima non può più usarla, nel caso della violenza, perché è invitata a non farlo, tanto dalla sua parte non ci sarà mai né tutta l’opinione pubblica, né la legge.
Questa sentenza è l’ultima di una carrellata di altre sentenze in cui l’atto di abuso non è stato ritenuto tale, per i più svariati motivi.
Nel 1998, il motivo è stato l’abbigliamento della presunta vittima, i cui jeans, troppo attillati, ne avrebbero impedito lo stupro. Per andare incontro al desiderio del maniaco di turno, avrebbe fatto meglio a indossare una gonna corta o un bel vestito. Forse, così facendo, il suo corpo sarebbe stato considerato abbastanza esposto da poter essere violato.
In un altro caso, nel 2017, i ragazzi imputati hanno dichiarato che la bruttezza della vittima sarebbe stato un impedimento per lo stupro. Assolti. Chissà se la ragazza avrà avuto ancora il coraggio di guardarsi allo specchio, dopo quel giorno. Loro, senza dubbio, puliti sulla fedina e belli in viso, l’hanno fatto.
Ma ci sono altre numerose sentenze di “insussistenza del fatto”. Quando la vittima si fa vedere in atteggiamento intimo, magari vestendosi o svestendosi in bagno, incitando così gli istinti animaleschi di chi non accetterà un “no” come risposta. Oppure quando la persona molestata aspetta troppo tempo per invitare l’altro a fermarsi. O quando alle grida che pregano di smetterla, non si abbinano abbastanza spintoni, calci e pugni, ma ci si abbandona alla rassegnata impotenza di chi si augura solo che l’agonia possa terminare quanto prima.
Esiste un manuale della vittima perfetta? Un decalogo che permetta a quella persona di sapere che, nel momento in cui denuncia, avrà giustizia, perché ha rispettato il galateo di chi conosce le buone maniere per opporsi alle violenze? Si dovrebbe regalare insieme ai peluche, alle bambole e ai fiocchetti rosa, questo manuale della vittima perfetta, per permetterci di arrivare preparate o almeno passare l’esame con la sufficienza.
Tra queste regolette, senza dubbio, si trova un abbigliamento adeguato e coprente, che non sia provocante. Non vorremmo mica “andarcela a cercare”. Poi, gridare forte e subito, abbinando le urla a un rifiuto chiaro e ben scandito, in cui pedate e schiaffi fanno la loro parte. Per chi può, anche piangere è un segno chiaro di malessere. Senza esagerare, mi raccomando, altrimenti la multa per schiamazzi e violenza potremmo rischiarla noi.
Ribellarsi con moderazione, quindi, e nei giusti tempi. Soprattutto mai agire prima dello scadere dei dieci secondi. Non saremo mica pazze? Nel tempo dei dieci secondi, si sa, nessuno vuole portare avanti la molestia. È solo una palpata ingenua, un tastare il terreno, un timido approccio, e poi, scaduti i dieci secondi, se non seguiamo il regolamento come si deve, allora significa che ci va bene così.
E non va mai bene così.
Stefania Malerba
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Foto di copertina: https://www.picamemag.com/illustrazioni-violenza-sulle-donne/