Il vestito che avrei voluto mettere ad una festa, ma io odio le feste
Ho finito la traduzione. E poi, è stata una settimana complicata, in tutti i sensi, e se penso che non è finita, un po’, mi spazientisco. Per non dire altro.
Non sto qui a dirvi proprio tutti i cavoli miei eh, anche se una parte di me, una bella parte di me, vorrebbe usarvi come un pungiball e restituirvi le mie beghe, ma fatto sta, che, io proprio non vedo l’ora sia domani. Intanto torno a casa, e poi c’è il mare. Le beghe sono piccole, medie e grandi beghe come quelle di tutti noi. Nulla di più e nulla di meno. Ma che palle si può dire?
Così ho deciso. Mi sistemo il vestito. E mi fa ridere. È stretto. E poi amo queste scarpe. E sembro bella, in un momento in cui, bella non mi ci sento per niente.
Insomma, fanculo. Oggi sono così, sboccata. Un po’ triste. Un po’ stanca. Un po’ incavolata con tutto. Mi sa che mi faccio la frangia. Perché cosa c’è di meglio di farsi la frangia per poi pentirmene subito dopo? Vorrei dire un barolo, ma è caldo, quindi boh. E frangia sia. E non tentate di dissuadermi. Ho già deciso.
Come quel giorno che mi sono detta femminista. Non c’è un giorno, ben preciso, in cui mi sono detta “sono femminista”, ma c’è stata, senz’altro, una linea di demarcazione oltrepassata, e qui, proprio qui, ho sentito quanto le differenze mi bruciassero dentro e infiammassero la mia anima.
Con assoluta certezza e tanto altro, ricordo il momento in cui le parole di Michela Murgia mi sono entrate dentro, come un proiettile vagante, lasciando quel segno, che ancora, accarezzo come fosse un vecchio amico.
L’errore più grande è pensare che siano sempre gli altri a sbagliare, senza comprendere prima di condannare. Le considerazioni personali dovrebbero partire dalla libertà. E non solo dalla propria.
In questi giorni, più che mai, mi viene da pensare ai perché, ai motivi della diversità tra donne e uomini nel vivere la vita, nell’affrontare i problemi e risolverli. Il problem solving. E no, non è una questione unica di carattere individuale, di soggettività: è anche una questione di genere, e cioè dell’essere “femmine” e dell’essere “maschi”, culturalmente parlando. Quel vivere di “rosa e bambole” versus quel vivere di “azzurro e soldatini” che ci accompagna fin da piccoli.
E come cultura patriarcale comanda, ci rimane dentro. Forse per questo io mi sento una fuori dagli schemi, una che, per citare Rebecca West, pronuncia sentimenti diversi da uno zerbino: ho sempre cercato di guardare il mondo a 360°, da sinistra a destra, dall’alto in basso, scontrandomi con qualsivoglia persona e battendo i piedi per terra reclamando le mie libertà.
E questo percorso, il mio, così definito in due parole e in pochi cenni della mia infanzia o adolescenza, non appartiene solo a me. Appartiene a tutte quelle che pensano in modo diverso da uno zerbino.
Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? È una domanda che Michela Murgia si sente rivolgere di continuo. Ci si chiede se si possa essere, contemporaneamente, femminista e cristiana.
In un vero e proprio catechismo femminista, Michela Murgia, fa qualcosa di rivoluzionario, e decide, di far leva su pensieri considerati non convenzionali; afferma la sua fede cristiana e la sua piena partecipazione alla lotta femminista cercando di guardare all’elemento religioso non come ad un ostacolo, ma ad un alleato.
È possibile far coesistere i propri valori e la propria fede nel momento in cui questa esclude la tua vita ed il tuo modo di vivere e vedere il mondo? Michela Murgia pensa di sì.
Abbiamo visto come nella storia un giorno si può cantare God Save the Queen e il giorno dopo God Save the King. Affermare la prima significa prendersi una grande responsabilità. E questo Michela Murgia ha voluto fare: “Su, venite e discutiamo”.
Tolto. Lui ha fatto la sua parte ed io ci ho messo il mio volto migliore.
Francesca Scotto di Carlo
Vedi anche: Guardatevi allo specchio ma non rispondete subito