Luigi Nittoli, 23:45
Luigi Nittoli, casertano, pubblica per la Graus edizioni, questo piccolo gioiello 23:45, titolo ambiguo o rivelatore, che può significare di tutto. Un libricino di 65 pagine con una struttura non lineare.
“Il locale in questione era poco più che un buco: due piccole stanze unite da un altrettanto piccolo corridoio che alla sinistra aveva una porta scorrevole per i servizi (suppongo per dare una qualche sorta di familiarità con l’ambiente)” questo è l’incipit vero e proprio che dà inizio alla strana e ambigua storia, preceduta però da un epilogo.
Di solito l’epilogo sta alla fine, invece, troviamo l’epilogo sia all’inizio e sia alla fine, e questo ci dà già l’idea di un romanzo che cerca di farci entrare in un mondo dove l’uscita non è possibile trovarla se non fai i conti con te stesso, come il protagonista L, che non a caso ha l’iniziale e il nome dell’autore.
Entriamo in un locale che è un buco, fermo letteralmente sull’orario 23:45, segno rivelatore e L intrattiene una conversazione con la Morte.
Su questo punto ho immaginato di trovarmi sulla nave della ‘Ballata del vecchio marinaio’ di Coleridge, a giocare con la Morte a dadi, sembra che questo sia il tema usurato del libro ma non è cosi o forse si, probabilmente si potrebbe dare una libera interpretazione.
Un libro cosi piccolo qualcosa da dire ce l’ha, ci sono vari spunti di riflessioni sulla vita e su quello che potrebbe accadere dopo la morte, ecco, pensiamo troppo a quello che succede dopo e non a vivere il nostro Hic.
Nittoli con una prosa limpida, chiara e senza artificio lessicale, spiega com’è la situazione di questo Luigi con la sua esistenza e attraverso i tre personaggi che sembrano usciti fuori dal nulla ma non è cosi.
Maddalena con un nome biblico che piange mentre fa sesso, Giada un colore, una pietra e un nome, che danza disperatamente sotto le note di “Je voudrais vous parler des homme que j’aime”, la danza della vita (quasi), il suo è uno dei personaggi che mi ha preso di più.
“A mon amour sons podeur, a mon amour qui se dechaine…”
La morte è femmina e ha una voce umana, sbraita con istinto materno a quel ragazzo L nato alle 23:45 e morto allo stesso orario. Ma cosa ci fa in quel buco? Come si esce da li?
Un fermo immagine su ogni pagina di questo breve racconto, immortalare ogni frase detta, un romanzo nel romanzo, metaletterario, racconti che sembrano a sé stanti, ma un filo conduttore ce l’ha.
Si inizia dalla sua fine, questa è la particolarità di questo gioiello, e non solo, parla proprio a noi, il narratore si intromette, ci dice di prestare attenzione.
È l’esistenza che vortica intorno a questo romanzo, il buco è l’inferno e si cerca l’uscita ma non c’è nessun traghettatore dantesco, no, è lo stesso L, che deve portare tutti fuori dal buco.
“Aveva cercato, nella sua vita, di adattarsi alle situazioni, di far uscire solo la parte di se stesso più adatta all’ambiente che lo circondava, cosi da non dare troppo nell’occhio. In altro modo non sapeva comportarsi, non voleva esporsi troppo, non voleva farsi male”.
In questa frase racchiude, a mio parere, il senso del romanzo ma forse non bisogna neanche cercare il senso.
Emilia Pietropaolo
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