L’accabadura: il geronticidio in Sardegna
Capri è il mio luogo dell’anima e nonostante l’abbia scoperta da adulta e non abbia suoi ricordi durante la mia infanzia, è la mia isola, l’isola dove in qualsiasi mese dell’anno mi sento a casa, dove finalmente respiro.
Uno dei ricordi più vividi che ho è il mio primo giro in barca tutt’attorno l’isola: l’avrei fatto ancora ed ancora, fino a terminare il carburante.
Ne son rimasta ammaliata, le onde ai miei occhi erano dipinte d’oro e d’argento, il mare era il più bello mai visto ed assaporato, il sole mi ha riscaldato la pelle come mai nessun raggio aveva fatto. Ho custodito per anni le foto scattate quel giorno gelosamente come se fossero beni preziosi; una delle immagini che più mi scosse fu senz’ombra di dubbio quella al Salto di Tiberio.
Il salto di Tiberio conosciuto anche come “Salto” è un precipizio a picco sul mare nei pressi di Villa Jovis. Secondo la leggenda narrata dallo storico Svetonio l’imperatore Tiberio usava questo strapiombo per uccidere i suoi nemici.
«Si fa vedere in Capri il punto in cui si rivelava tutta la sua crudeltà, facendo precipitare in mare alla sua presenza, le sue vittime, dopo averle a lungo martoriate con ogni maniera di tormenti. Cadevano in mezzo ad una squadra di marinai, i quali li percuotevano barbaramente con bastoni, e con i remi, in fino a tanto fosse spento in esso ogni soffio di vita.» in Vite dei Cesari. Tiberio di Svetonio
A distanza di anni ho ritrovato la stessa asprezza nella lettura di La mia isola dell’autrice sarda Giovanna Casapollo. In essa viene narrata, tra la moltitudine di argomenti trattati, la pratica dell’accabadura (da accabbari, che in sardo significa finire).
“S’accabbadora aveva svolto correttamente il suo compito, aveva dato la dolce morte al povero vecchio interrompendo la sua agonia e la sua sofferenza […]” da La mia isola di Giovanna Casapollo
Ma cos’è letteralmente l’accabadura? È il geronticidio, ovvero l’uccisione dei più anziani della comunità per mano dei propri figli. Una soluzione alla sovrappopolazione o semplicemente l’accettazione del ciclo vita-morte; al compimento del 70esimo anno d’età il figlio maggiore della stirpe “accompagnava” il proprio genitore verso un precipizio per il “supremo sacrificio” al dio Kronos.
Questo rituale viene riportato da Gustave Glatz, storico francese specializzato nell’antica Grecia: Minosse raggiunta la vecchiaia venne portato in processione al Psiloritis (meglio conosciuto come Monte Ida) per essere spinto giunto da una rupe. Un frammento attribuito allo storico Timeo di Tauromenio indica che gli anziani di 70 anni erano uccisi a bastonate e sassate dai figli e poi gettati in un fossato: “Nel perire i vecchi ridevano di un riso che per la crudele situazione e l’ambiente in cui si svolgeva il rituale, veniva chiamato sardonio; secondo una diversa lettura a ridere erano invece gli uccisori, mentre i vecchi venivano sacrificati a Crono (…)”.
Le ultime testimonianze di questo uso sono da rintracciare nel Dizionario geografico, storico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna di Goffredo Casalis in cui alla voce Bosa (comune in provincia di Oristano) il ricercatore Vittore Angius inserì una notizia sulla “S’accabadora”: “donnicciuole, che troncassero l’agonia d’un moribondo, e abbreviassero la morte dando loro o sul petto o sulla coppa con un corto mazzello, sa mazzuca, tosto che sembrasse vana ogni speranza (…)”.
Diritto all’eutanasia, tolleranza, o semplicemente accettazione e rispetto del tempo che passa? La morte segue solo l’ordine delle cose.
Antonietta Della Femina
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