Abebe Bikila, simbolo dell’Africa anni ‘60
Quante vittorie sensazionali ci sono state negli anni all’interno dello sport, ognuna delle quali sono rimaste impresse nella memoria degli appassionati.
Ad iniziare dal calcio e arrivando all’atletica, sono tanti gli atleti che si sono contraddistinti con la propria bravura arrivando in dirittura d’arrivo a testa alta, al di là del risultato ottenuto.
In questo articolo voglio raccontarvi la storia dell’etiope Abebe Bikila, una delle icone delle Olimpiadi di Roma del 1960.
Nato il 7 agosto 1932 nel villaggio di Jato in Etiopia, è stato agente di polizia e guardia del corpo personale dell’imperatore Hailé Selassié e divenne eroe nazionale dopo aver vinto la medaglia d’oro olimpica nel 1960 a Roma.
Ma il modo in cui la vinse fu davvero bizzarro, impensabile per qualsiasi altro atleta.
Ai Giochi della XVII Olimpiade Bikila vinse la maratona correndo l’intero percorso senza scarpe, per una precisa scelta tecnica concordata con il suo allenatore, lo svedese di origine finlandese Onni Niskanen.
Con questa vittoria Bikila divenne il simbolo dell’Africa, che ai tempi si stava liberando del colonialismo europeo, in quanto fu la prima medaglia d’oro olimpica del continente africano.
Le Olimpiadi di Roma 1960 non furono le uniche alle quali l’etiope prese parte: quattro anni più tardi si presentò ai Giochi Olimpici di Tokyo 1964 in condizioni fisiche peggiori.
Sei settimane prima si operò di appendicite e non ebbe il tempo necessario per riprendersi del tutto e per dedicarsi come avrebbe voluto agli allenamenti.
Nonostante le condizioni di salute non siano state delle migliori, riuscì ugualmente a vincere la maratona – questa volta con le scarpe – stabilendo anche il miglior tempo mondiale sulla distanza.
Bikila fu il primo campione olimpico a bissare la vittoria nella maratona, impresa successivamente ottenuta anche dal tedesco orientale Waldemar Cierpinski e dal kenyano Eliud Kipchoge.
Nel 1968 partecipò ai Giochi olimpici estivi tenutisi a Città del Messico, ma subì le conseguenze dell’altitudine, degli infortuni e dell’età e fu costretto a ritirarsi prima del termine della gara.
L’anno dopo ebbe un grave incidente mentre stava guidando nei pressi di Addis Abeba, così da rimanere paralizzato dalla vita in giù nonostante le cure e l’interesse internazionale.
Nonostante l’impossibilità a camminare non rinunciò a gareggiare: nel tennistavolo, in una gara di corsa di slitte in Norvegia e nel tiro nell’arco, nel quale partecipò ai Giochi paralimpici di Heidelberg nel 1972.
Nel 1973, all’età di 41 anni, morì per un’emorragia cerebrale venendo poi sepolto nel cimitero parrocchiale di San Giuseppe di Addis Abeba.
Irene Ippolito
Leggi anche: Sport ed inclusività: a che punto siamo?