Francia e islamofobia: Macron vieta l’abaya nelle scuole
Dopo il velo anche l’abaya è bandito dalle scuole: per Macron è un attentato alla laicità dello Stato.
In Francia portare il velo a scuola è vietato da anni. Più precisamente dalla legge del 15 marzo 2004, nella quale si legge che “nelle scuole pubbliche, nei collegi e nei licei è vietato indossare segni o abiti con cui gli studenti dimostrino apertamente l’appartenenza religiosa“.
Tuttavia quest’anno il rientro a scuola è stato ulteriormente complicato dal nuovo provvedimento emanato da Macron. Seppellire il velo nella borsa non basta più, ora bisogna anche cambiarsi d’abito.
Il nuovo divieto del presidente francese riguarda infatti l’abaya, una lunga veste usata principalmente nei paesi del Medio Oriente.
Secondo il presidente: “c’è una minoranza che si sta appropriando di una religione e arriva a sfidare la Repubblica e la laicità”.
Ma che cos’è questo indumento? È davvero religiosamente connotato?
Letteralmente abaya si traduce col termine “vestito” o “cappotto” e indica un indumento femminile tradizionale mediorientale che permette alle donne di affrontare il caldo.
In Arabia Saudita è stato obbligatorio per legge sino al 2018, ma resta attualmente ancora largamente utilizzato. Il qamis è semplicemente la versione maschile di questo indumento.
Secondo l’imam Tareq Oubrou della grande Moschea di Bordeaux “L’abaya non è un indumento religioso, poiché il diritto canonico musulmano non prevede segni religiosi o indumenti religiosi”.
Si tratterebbe dunque di un semplice indumento culturale, utilizzato soprattutto nei giorni di festa e disponibile in vari colori… un po’ come un kimono per capirci.
Per rendere più chiaro il concetto Céline Duflot ha postato su Twitter una foto di un abito che richiama il modello dell’abaya firmato Prada. Nulla di scandaloso o di antioccidentale dunque.
Di fronte a un sopruso della legge del 2004 l’ADM (Associazione per i Diritti dei Mussulmani) ha fatto ricorso al Consiglio di Stato, ma senza successo. Secondo la Corte Suprema infatti il provvedimento “non rappresenta un grave attentato a una libertà fondamentale”.
A pensarla diversamente però sono in molti, a partire dagli stessi professori ad esempio. Nei primi giorni di scuola ci sono state infatti diverse proteste, tra cui quella del liceo Maurice Utrillo, a Stains, una banlieue della capitale, dove con un sit in nel cortile gli scioperanti si sono opposti a una “politica islamofoba” che stigmatizza alunni ed alunne.
Anche sul fronte politico troviamo diverse opposizioni.
Per Sandrine Rousseau, deputata ecologista, quello che il governo sta facendo è “scandaloso” poiché “stigmatizza le donne per il loro corpo e per il loro abbigliamento […] stiamo cadendo in un sistema in cui attribuiamo le intenzioni alle persone e non diamo valore all’educazione positiva”.
È innegabile, si tratta di una discriminazione in tutto e per tutto. Una delle tante forme di ghettizzazione di una politica che col progredire degli anni sta raggiungendo i limiti dell’assurdo.
Ne è un esempio la storia di una giovane francese, che racconta di essere stata fermata all’ingresso della scuola poiché indossava l’abaya e di essere tornata a casa per cambiarsi, optando per un lungo vestito nero. Al suo arrivo però “Il preside mi ha detto che stavo cercando di aggirare il testo e che era una provocazione. Gli ho detto che il mio abbigliamento non era religioso e che avevo il diritto di avere un vestito“.
Al netto dei fatti quello che pare evidente, non solo all’opposizione ma a tutti i cittadini francesi, è che Macron stia tentando di alzare polveroni giganti per nascondere la montagna di vere problematiche legate al sistema scolastico francese che rimangono ancora insolute.
Una dinamica che in Italia ci ricorda qualcosa: di fronte a povertà, corruzione e problemi socioeconomici è più semplice improntare la propria campagna elettorale sui problemi identitari.
Il livello del francese negli istituti è in costante calo a partire dagli anni 80. Infatti, da questo periodo lo stesso dettato è stato impartito agli studenti dell’ultimo anno di elementari. Nel 1987, la media degli errori era di 10,7.
Questa cifra è salita a 14,7 nel 2007, 17,8 nel 2015 e infine 19,4 nel 2021. Ecco perché uno studente su quattro non ha il livello di francese richiesto per accedere alla scuola media.
Si tratta di un paese in cui i finanziamenti per l’educazione sono in calo e i genitori preferiscono rivolgersi al privato piuttosto che mandare i loro figli a studiare nelle periferie perché abbandonate dalla legge e molto pericolose.
Ma i problemi veri per il governo sono altri: quanto è lunga la mia gonna? Porto una tuta, un vestito o un abaya?
A questo punto ritengo più adatto al ruolo di président de la République Enzo Miccio.
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