Mi amo, mi sposo
Una famosa citazione di Frida Kahlo recita: «Innamorati di te, della vita e dopo di chi vuoi», ma c’è chi si ferma alla prima virgola.
Giurare amore eterno a sé stessi è il gesto più nobile che si possa compiere: non è egoismo, ma un modo sano di porre la propria felicità al centro, come obiettivo principale da perseguire giorno dopo giorno.
Amarsi significa avere consapevolezza di sé, delle proprie capacità, degli obiettivi, dell’unicità e della bellezza che contraddistingue ognuno di noi. Tutte queste capacità, che potremmo tradurre con il termine inglese empowerment, sono alla base di un sano amore verso il proprio Io.
La sologamia, termine che indica il matrimonio con se stessi, è una tendenza in aumento soprattutto tra le donne che desiderano una cerimonia romantica e principesca, ma non l’impegno di un matrimonio con un’altra persona.
È sicuramente molto più di un trend social, ma viene da chiedersi se sia l’espressione del suddetto empowerment personale, mettendo la propria felicità al primo posto, oppure solo un capriccio delle star per accaparrarsi più like. Insomma, in parole povere, è l’apoteosi del narcisismo e dell’egocentrismo oppure una forma di accettazione e inclusione verso se stessi?
In ogni caso, il self-marriage o auto-sposalizio è una pratica simbolica e rappresentativa che non ha alcun valore legale in nessuno Stato del mondo, pertanto non segue dei rituali prestabiliti: la cerimonia può consistere nel rito della sabbia, nei fili intrecciati attorno le mani, nello “scambio” di promesse, fino alla più tradizionale fede nuziale, sia in solitudine che con una vera e propria cerimonia principesca.
Se il fenomeno è abbastanza comune in Giappone, dove trae origine dalla filosofia intimista e dove esistono agenzie matrimoniali che propongono pacchetti nuziali per sposare se stessi, in Italia è un fenomeno ancora poco conosciuto.
Oltreoceano però non è una novità: nel 1993 Linda Baker celebrò i suoi primi 40 anni auto-sposandosi (accompagnata da 7 damigelle e 80 ottanta invitati!), come ha annunciato di voler fare Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker) in una puntata di Sex and the City nel 2003, ma anche l’allenatrice Sue Sylvester di Glee e la modella trans All (interpretata da Benedicts Cumberbatch) in Zoolander 2.
Anche Emma Watson, Adriana Lima e Fantasia Barrino hanno raccontato di aver abbracciato la sologamia, mostrando orgogliose un “instagrammabile” anello al dito (senza però rinunciare alle relazioni al di fuori del matrimonio).
Insomma, il matrimonio soligamico sembra essere il modo per validare fedeltà, amore, cura e orgoglio verso se stessi. C’è da sottolineare che questo fenomeno sembra aver appassionato soprattutto donne agiate over 40, che si fanno portavoce delle nuove forme di femminismo. Proprio dalle parole di Emma Watson – che si definisce non single ma self-partnered – è chiaro come la lente di lettura del voler “stare da sole” assuma connotati positivi: non più zitella sofferente e in cerca di un uomo quindi, ma donna forte, indipendente e capace di bastarsi. D’altronde, anche la recente canzone di Miley Cyrus, Flowers, è un inno all’intraprendenza femminile, alla capacità di prendersi cura di sé senza avere un principe azzurro che ci protegga a spada tratta.
Ma in Italia?
La prima sposa soligamica del Bel Paese è stata la personal trainer Laura Mesi, che nel 2017 che ha coronato il suo sogno auto-coniugale andando in luna di miele in Egitto.
La sologamia ha bussato alle porte del panorama culturale italiano solo nel 2023, grazie alla Visual Artist Elena Ketra e al suo progetto digitale Sologamy. Durante la mostra è stato possibile celebrare le nozze attraverso un monitor touch-screen, ricevendo alla fine della celebrazione un certificato di matrimonio sologamico. Il progetto della Ketra è stato presentato a Roma dalla Fondazione Solares per le Arti di Parma, dal 13 al 17 luglio, nel complesso della manifestazione Videocittà.
Sulla sua pagina web l’artista dichiara come la sologamia in nessuna parte del mondo sia legale, ma grazie alla sua performance diventa possibile dichiararsi amore in modo gratuito, affermando con un “grido d’amore” la propria indipendenza affettiva. Sempre sul sito è possibile compilare la propria certificazione di matrimonio, sposando sé stessi (https://sologamy.org/).
Non male un rito in cui ci si impegna ad amarsi e rispettarsi per tutta la vita! Ma la cosa bella è che, se si cambia idea, non c’è bisogno di divorziare legalmente. Infatti, come per tutti i matrimoni, può capitare che non tutto sia rose e fiori, così tanto da ricorrere alla separazione: è la curiosa storia di una modella brasiliana, Cris Galera, che prima si è dichiarata amore eterno (in abito bianco, bouquet e fede nuziale) e poi ha messo fine alla propria relazione…chiedendosi il divorzio!
Ma la sologamia come si inserisce in una società che – va detto – è fortemente patriarcale e che affida alle donne ruoli medievali nella vita familiare?
C’è poco da dire, la sologamia non è poi questa grande rivoluzione o lotta al patriarcato (in quanto, oltretutto, non è nemmeno riconosciuta legalmente), e di certo non è un fenomeno che fa particolarmente scalpore. Sottosoglia, nell’ombra, forse non ha ancora trovato lo spazio che merita, tra questioni di genere, LGBTQ+ e diritti (spesso negati) ben più importanti. Certo che nella nostra cultura indottrinante al matrimonio – ovviamente, etero – come unica via maestra per la soddisfazione femminile, la sologamia rappresenta un punto di frattura con la società maschilista. Forse è un primo, piccolo, passo per una piccola, grande, rivoluzione femminile.
Insomma, la sologamia è un rito di passaggio per sentirsi adulti ed entrare in contatto con l’amore verso di sé, oppure una frivolezza, un modo per avere visibilità social? Siamo davanti solo ad una performance artistica o a un nuovo stile di vita? E ancora, è un lavoro profondo e consapevole sulla relazione che abbiamo con noi stessi, o l’ennesimo tentativo perora parlare di sé, nutrendo il proprio ego con titoli da cronaca rosa?
Elisabetta Carbone
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