Attente al lupo: sesso, violenza e dominanza
La violenza di genere è un fatto di cronaca quotidiana. E, da donna, posso permettermi di dire che ho paura.
Siamo stanche. Ci hanno insegnato ad allungare l’orlo della gonna, a preferire comode sneakers a tacchi eleganti, a portare sempre con noi lo spray al peperoncino, a evitare di uscire sole la sera, a installare app di geolocalizzazione, a non parlare con gli sconosciuti, a truccarci poco sennò te la sei cercata.
Ci vogliono addomesticate al lupo, ma si sa, i lupi vivono in branco.
I branchi di lupi sessuali che agiscono stupri di gruppo sono in crescita, come è in aumento la sessualità e la pornografia vissuta come violenza carnale. Niente anima, niente spirito, niente piacere, niente dolcezza: corpi come carne morta, usati, consumati e poi gettati via, come roba da poco conto.
La domanda è: perché? Perché si arriva a tanto?
Non basta la semplicistica spiegazione culturale-patriarcale.
Lo iato machismo-stupro non è sufficiente a spiegare tanta violenza, tanta rabbia, tanto sfregio verso il corpo delle donne. È vero che tutti questi indicibili episodi hanno la costante maschile che aggredisce la donna, ma non può essere solo la cultura di appartenenza la spiegazione sic et simpliciter dello stupro.
A livello biologico c’è una spiegazione, una connessione, un triangolo sesso-violenza-dominanza?
Forse sì. Siamo i mammiferi più evoluti della specie, adagiati nel nostro alveo culturale, ma la natura fa da contraltare alla cultura.
Sempre animali siamo. Due facce della stessa medaglia, ed entrambe influenzano il comportamento umano.
Il geniale, discusso e straordinario Paul Donald McLean, neuroscienziato statunitense, ha teorizzato una tripartizione del cervello, definito appunto trino. Secondo lo studioso, avremmo:
- Un cervello rettiliano, antichissimo, che risale a 500 milioni di anni fa, contenente le risposte necessarie alla sopravvivenza e che condividiamo con i rettili;
- Un cervello limbico, alle base delle nostre risposte emozionali;
- La neocorteccia, la parte più recente, sede del linguaggio, del pensiero logico-astratto, delle idee e della fantasia.
Nell’area del cervello rettiliano maschile, sorprendentemente, c’è un forte connessione tra le zone deputate all’aggressività e alla sessualità.
Nel cervello rettiliano femminile, invece, l’area della sessualità è connessa a quella della paura.
Sorprendente e terrificante.
Però questo è un cervello primordiale, noi siamo più evoluti dei nostri antenati rettili: il sesso non serve più solo per semplice sopravvivenza della specie, ma è legato al mantenimento di relazioni affettive (amore sessuale) e al piacere psicofisico (orgasmo).
Ma le aggressioni maschili sembrano portare alla luce un aspetto dimenticato dell’uomo: la sua parte più arcaica del cervello, dove sesso e violenza sono uniti indissolubilmente in un circolo vizioso che si autoalimenta.
Alla base della violenza sessuale c’è quindi lo scatenarsi, senza possibilità di controllo, di comportamenti predatori forti e ingestibili del maschio sulla femmina, talvolta giustificati dalla presenza di riferimenti culturali che legittimano la dominanza maschile e la sottomissione femminile. Basti pensare che in alcune aree del mondo esiste ancora il delitto d’onore e lo stupro viene giustificato dalla stessa giurisprudenza.
A questo si aggiunge un altro elemento: il ruolo del gruppo, amplificatore sociale ed emotivo del fenomeno, banco di prova della mascolinità brutale. Il gruppo favorisce la dinamica del “fare insieme” quello che è più difficile “fare da soli”: l’unione fa la forza dello stupro, che diventa così di gruppo.
È come se i membri del gruppo si “contagiassero” tra loro di frenesia sessuale predatoria, fomentandosi nell’impulso bestiale e incontrollabile.
Più il gruppo è grande, più la responsabilità si diffonde: si affievolisce il senso di responsabilità individuale, per cui “se lo fanno gli altri posso farlo anch’io”. Questo meccanismo, definito dagli psicologi come disimpegno morale, consiste nel giustificare il proprio comportamento per non sentirsi in colpa, anche quando si agisce contro le norme accettate e condivise.
Inoltre, da buon mammifero, l’uomo ha bisogno di guadagnarsi sempre un rango all’interno del gruppo: ed ecco che il ruolo più o meno attivo nello stupro consente di aumentare o diminuire il proprio valore, mascolinità e virilità.
L’equazione è quindi fatta: potenza maschile = imposizione sessuale. Il rischio è quello di parere agli occhi del gruppo femminuccia, finocchio, frocio.
Eccoci arrivati al punto di svolta: la genetica, il cervello, si va ad incontrare con la cultura patriarcale e svalutante la figura della donna.
Insomma, cultura e natura sono i due piatti della bilancia e giocano un ruolo fondamentale nelle dinamiche di violenza di genere.
Inutile dire che le donne sono stufe di doversi difendere da questi branchi di lupi: sarebbe anche ora di educare i maschi al rispetto, all’educazione affettiva e alla parità di genere.
Perché se possiamo modificare la nostra specie, possiamo farlo solo attraverso la cultura.
Elisabetta Carbone
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