La ricetta perfetta per cambiare il tuo cervello
Un po’ come il DAS con cui giocavamo da bambini il cervello è modellabile. Basta volerlo.
Terminate le vacanze estive verso gli ultimi mesi dell’anno inizia la fase in cui cominci a riprogettarti la vita. Iniziare a leggere un libro al mese, iscriverti in palestra, iscriverti a quel corso di danza africana che hai visto su TikTok…insomma che siano questi o meno i vostri progetti il concetto è che si vuole sempre in qualche modo migliorare e sviluppare nuove abitudini.
Tra le parole ed i fatti però spesso ci passa la voglia. Ed è proprio dove la volontà inizia a vacillare (circa dopo la terza settimana) che ci viene in aiuto la scienza, per essere più precisi la neuroplasticità.
Le nostre azioni, gli stimoli cui siamo sottoposti e tutte le esperienze che facciamo (belle e brutte) non attraversano il nostro cervello in modo “innocuo” ma lasciano sempre una traccia. La traccia in questione è la creazione o il rafforzamenti di connessioni tra neuroni già esistenti oppure la crescita di nuovi neuroni in grado di affrontare una nuova esperienza.
A livello biologico il nostro corpo produce continuamente nuove sinapsi, nuovi vasi sanguinei e nuove cellule per il sostentamento dei nuovi neuroni.
Tutto questo ovviamente condiziona la forma e la struttura del nostro cervello, portando a risultati sorprendenti. Uno studio del 2011 condotto da Wollet e Maguire sui tassisti londinesi ha mostrato come il loro ippocampo posteriore (cioè la zona adibita alle conoscenze visuo-spaziali) fosse notevolmente più sviluppato rispetto a quello dei loro coetanei con professioni diverse.
Per ritornare al discorso iniziale dunque, se si vuole che un’azione entri nella nostra routine e diventi facile portarla avanti, è necessario che il nostro cervello crei una nuova rete neuronale per sostenerla. Come? Semplicemente ripetendola. Per quanto? Secondo uno studio condotto dall’University College di Londra 66 giorni. Due mesetti circa.
Questo perché il nostro cervello è costantemente in modalità “risparmio energetico” e preferisce quindi di gran lunga compiere azioni quotidiane che costano meno fatica (poiché le connessioni neuronali cui sono collegate sono già esistenti e protette) , piuttosto che compierne di nuove (e dover dunque andare a ricreare nuove connessioni neuronali).
Insomma, se resisti abbastanza alla voglia di mollare tutto, quell’abitudine è tua e a quel punto sarà davvero complesso eradicarla.
Secondo lo stesso principio, che in gergo tecnico è chiamato “use it or lose it”, è possibile perdere una cattiva abitudine se si smette di portarla avanti per una quantità sufficiente di tempo. È importante sottolineare che non si può semplicemente smettere, ma è necessario sostituire un vecchio comportamento disfunzionale con uno nuovo, ed impegnarsi fino a quando la nuova abitudine non risulterà di più facile attuabilità rispetto alla vecchia.
Certo non è semplice l’esordio, ma il rilascio di endorfine garantito da una nuova abitudine, per esempio l’attività fisica, andrà a sopperire la mancanza del vecchio vizio, rendendo sempre più facile l’azione.
Da persona che è passata dal non allenarsi mai all’avere la necessità di farlo quotidianamente, ho sperimentato tre “trucchetti” che funzionano veramente per mantenere un abitudine.
Il primo è che ci si premia sempre, in modo maggiore o minore, ma è importante farlo. Questo perché è necessario donare un boost di endorfine iniziale, un rinforzo positivo che, un po’ come il cane di Pavlov, ci stimoli a reiterare il comportamento.
Può essere una foto allo specchio dopo che ti sei allenata in cui ti apprezzi e ti senti bene oppure un dolce ecc… (magari evitiamo la sigaretta).
Il secondo è quello di associare la nuova abitudine ad un momento della giornata.
Ipotizzando che tu voglia iniziare palestra, scegli tre giorni fissi in cui ti allenerai ed un range orario che rimanga più o meno lo stesso. In tal modo abituerai il tuo corpo ad attivarsi maggiormente in quella fascia oraria e al contempo abituerai anche le persone che ti stanno attorno a rispettare questo tuo nuovo impegno.
Oggi quindi le tue amiche non ti chiameranno a fare aperitivo perché sanno che hai preso quell’impegno (domani però puoi andare tranquilla).
Il terzo è quello di accettare di non averne davvero voglia.
Se non ce la si sente di andare in palestra si andrà lo stesso (ovviamente) ma magari standoci meno tempo. Questo perché in un primo periodo il focus non è tanto il risultato finale quanto il processo in sé.
In questo mese mi sono posta come obiettivo quello di andare a correre tre volte alla settimana. Nel corso delle settimane ci sono stati giorni in cui avrei sicuramente preferito la fustigazione alla corsa ma in quei giorni ho accettato di correre lo stesso, riducendo il percorso di mezzo kilometro. È probabile che se avessi ulteriormente spinto il mio corso avrei completato il mio giro di corsa standard anche quel giorno, ma sicuramente l’idea di doverlo fare non mi avrebbe manco portato ad indossare le scarpe da ginnastica.
L’esempio dello sport rende bene il concetto, ma in realtà la plasticità del nostro cervello è coinvolta in milioni di altri processi.
Il nostro carattere rappresenta banalmente l’agglomerato delle abitudini che abbiamo sviluppato nel tempo, come tendiamo ad affrontare emotivamente certe situazioni, come reagiamo o non reagiamo…
Allo stesso modo nel seguire un percorso di psicoterapia non facciamo altro che decostruire la rete neuronale che si era costruita a partire da certi eventi problematici, per ricostruire una rete benevola.
Insomma, le possibilità che la nostra mente ci pone davanti sono davvero moltissime e con la mia piccola esperienza posso confermare che la gratificazione che il nostro corpo ci dona ogni qual volta ci sottoponiamo a nuovi stimoli è davvero assuefacente. Un po’ come una droga naturale, se inizi a riempirti di nuovi stimoli sarà sempre più facile proseguire e trovarne di nuovi.
Sofia Seghesio
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