MuPa mostra “Radici”: valorizzando la bellezza dei nostri punti cardine attraverso l’arte
Prendi un edificio nobiliare e restauralo come sede per un palazzo multimediale, ecco il MuPa che da ben oltre sei mesi ospita mostre temporanee, situato a Ginosa, in provincia di Taranto, è diventato un importante polo culturale per la città e destinazione imperdibile per i visitatori.
Dal 9 dicembre 2023 fino al 7 gennaio 2024 ospita la mostra “Radici” dove quattro giovani talenti hanno deciso di mostrare attraverso l’arte della scultura, della pittura e della fotografia cosa vuol dire per loro RADICI.
Mi sono permessa di entrare in punta di piedi nel palazzo per poter chiacchierare con i 4 artisti: Angelica Cazzetta, Claudia Ranaldo,Carmela Mongelli e Giorgio Morea e soprattutto con colui che ha creduto in primis nel progetto MuPa Piero Giannuzzi, e ho avuto l’onore di ascoltare attraverso le loro parole come è nata “Radici” e di cosa si tratta.
Partiró con le prime due artiste Angelica e Claudia, seguendo l’ordine delle sale del palazzo multimediale MuPa.
La prima sala è quella della Scultura di Angelica Cazzetta, classe ‘96, che sta proseguendo i suoi studi in Scultura presso l’Accademia di belle Arti di Lecce.
Nella tua sala la prima opera che viene mostrata sono due impronte di mani che si sfiorano ma sembrano divise da un vetro. Perché sembrano volersi sfiorare ma sono distanti?
« Cominciamo col dire che è una scultura fatta in resina, risulta essere alla vista rigida ma da spettatore è appoggiare la propria mano così da avere l’idea del tattoo dell’impronta delle due mani raffigurate. E probabilmente risulta essere un evento magico se condiviso con un’altra persona. Quello che rappresenta è proprio un concetto simbolico di contatto umano e di connessione, che si focalizza però sull’impossibilità del contatto stesso. Nato dal periodo del covid ma è qualcosa ancora oggi adattabile. Quello che emerge è la dualità tra la rigidità apparente della scultura e la sensazione di tatto che si può avere avvicinando le mani.L’arte sempre riflette la condizione umana, e questa in particolare cattura l’essenza dell’isolamento, della mancanza di contatto che mantiene però il forte senso di connessione pur fisicamente separati.»
Hai spiegato che il filo conduttore di ogni tua opera è il tema del rapporto tra sé e l’altro. Questa seconda opera composta da 5 volti che rappresenta in merito alla tematica.
«5 maschere che sono calchi del del mio volto, di cui 4 con sfondo nero e maschera bianca che a seconda del colore delle righe sul volto rappresentano le mie emotività. Al centro una sfondo bianco e una maschera nera a significare la tristezza, la maschera del volto più vulnerabile. In questo caso con i miei cinque volti di gioia, paura, tristezza e altri condividono con l’altro i miei stati d’animo».
Quindi quanto c’è di “Radici” in ogni tuo lavoro?
«In ogni scultura cerco sempre di ritrovare il mio, al tempo stesso vorrei che gli altri trovassero loro stessi, immergendosi nell’opera. Tutto partendo in primis dalle mie esperienze dal mio raccontare e raccontarmi attraverso l’arte »
Ancora radici, questo terreno con impronte e due piedi alla fine del percorso…
«È la scultura Matrimonio con l’arte. Qui sono mescolati tre elementi: le tradizioni culturali del mio fidanzato indiano, le mie esperienze e la passione per l’arte. Volevo creare un’espressione artistica aggiungendo qualcosa che appartiene alla mia vita personale e amorosa. Un rito di passaggio artistico dove la mia arte si evolve insieme alla mia vita ed esperienze.»
La seconda stanza del palazzo è quella della pittura con Claudia Ranaldo, pittrice classe 2005, in arte PiSkella. Innamorata sin da piccola dell’arte e della pittura grazie al padre, e da allora fa della sua arte strumento per esprimersi e raccontarsi.
Ciao Claudia, Cos’è per te il progetto “Radici”?
«Le prime tre opere rappresentano a pieno cosa vuol dire per me radici: Chiesa Madre, Pasta al sugo, Mare. Unione di tre elementi che creano ritratto visivo e simbolico delle mie radici, la cultura e miei valori personali. La Chiesa madre, simbolo di Ginosa il legame con la mia comunità anche se non mi definisco credente, credo però nelle radici locali. La pasta al sugo, mio piatto preferito, potrei mangiarla ogni giorno e alla fine il mare.
Il mare è per me fonte di ispirazione, se cerco risposte vado al mare e inoltre penso che siamo molto fortunati ad averlo.»
Questo ritratto di donna è un autoritratto? sei tu?
«È un ritratto che ho fatto tempo fa in tre giorni.
Mi piace molto stare in giro però questa cosa in quel periodo mi annoiava e decido di chiudermi in casa e per tre giorni ho solo dipinto. Mano mano che usciva fuori il quadro chiedevo a mia madre cosa ne pensasse e lei mi diceva che il ritratto ero io, dando per scontato fosse un autoritratto. Ma non ho mai voluto dare tale interpretazione, anzi lo lasciavo libero senza un vero significato.
Giorni dopo averlo finito ritrovo un ritratto di mio padre, anche lui dipinge come me, però questo suo ritratto era incompleto. Chiedendogli il motivo lui mi dice che “quando un artista conclude un suo ritratto allora conclude il suo percorso, muore”.
Così ho deciso che non è un mio ritratto »(ride)
L’ultima opera l’hai intitolata La cura che distrugge, cioè?
«Si, in pratica tempo fa prendevo degli psicofarmaci che mi hanno distrutta invece che aiutata. Sentivo di prendere una droga che mi faceva del male, quando ne sono stata poi del tutto consapevole me ne sono liberata. Così come mi sono liberata nel dipingere questo quadro di tutte cose interiori un po’ pesanti, infatti il ritratto ritrae questa donna dal volto un po’ assuefatto, un po’ troppo persa in qualcosa. Ho deciso di metterla come ultima perché è stata dalla mia “quasi” fine che sono poi ripartita, mi sono ripresa in mano la vita, ecco. La racconto come la fine, ma è stato per me inizio e fine di tutto».
Dai tuoi dipinti si capisce molto che ti fai forza dalle tue radici.
«Quando mi hanno proposto il progetto “Radici” non ci ho pensato nemmeno un attimo e ho detto sì,perché era già un tema per me nei miei dipinti, radici per me c’era già.
Queste tematiche ho sempre voluto rappresentarle e lo faccio con i miei dipinti, per me è stato molto semplice farlo, raccontare i valori che sono per me fondamentali.
Io farei crescere la mia famiglia, un figlio qui a Ginosa nelle mie radici, anche se mi rendo conto che il nostro paese non ha molto. Spesso colpevolizziamo chi va via ma è un discorso che vale sì, ma è bello tornare qua, fare qualcosa qua, altrimenti qui non rimane più nulla, e andare a distruggere una bellezza del genere per me è un peccato, questa è la nostra bellezza è va valorizzata.»
Questa prima parte di mostra “Radici” è stata raccontata dalle sculture e dai dipinti di Angelica e Claudia seguiranno poi le sale di fotografia e pittura di Carmela e Giorgio.
Arianna D’Angelo
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