Olivami: la rivincita delle campagne salentine
Ripopolare gli uliveti distrutti dalla Xylella è possibile. A fare la differenza adozioni e piccoli agricoltori.
Un altro giorno ventoso a Martano, provincia di Lecce. Un pulmino blu parcheggia tra le campagne salentine. A guidarlo è Stefano Presicce, trentasei anni, corporatura media, capelli castani fin sotto le orecchie.
Nonostante sia novembre, indossa bermuda e maglietta a maniche corte. L’autunno sta tardando ad arrivare. Poco più in là, un trattore rosso, sporco di terra, e una Fiat 127, color verde oliva. Non sembra un caso che a guidarla sia Paolo, ottant’anni, agricoltore da più di sessanta. Quando arriviamo, è seduto su una pietra. Poco prima, stava aiutando suo figlio con la potatura. Non appena vede Stefano, si alza e ci viene incontro. Sulla testa ha un cappello consumato dal sole, in mano porta un rametto d’ulivo. Paolo è solo uno dei contadini che Olivami ha sostenuto durante i quasi due anni di attività. Tutti i suoi alberi erano stati distrutti dalla Xylella.
Intervistato da Licia Colò per il programma Il Mondo Insieme, Alessandro Coricciati, proprietario dell’azienda agricola Alèa e presidente dell’associazione, diceva: “Gli ulivi salentini non sono nostri, sono di tutti, del mondo”. Dalla necessità di creare una comunità in cui ognuno possa fare la propria parte per la ricostruzione del territorio, si sviluppa l’idea di coinvolgere giovani, aziende agricole e agricoltori.
È il 6 dicembre 2021 quando, sui social di Olivami, viene pubblicato il primo post: “Solo chi ha la possibilità di investire è riuscito a reimpiantare i propri terreni. E tutti gli altri? Noi non vogliamo lasciarli soli. Noi dobbiamo aiutarli.”
“Noi siamo a disposizione del Salento, siamo missionari nell’olivicoltura”, spiega Stefano, agrotecnico e socio di Olivami. Da una parte, ci sono gli olivicoltori che piantano ulivi di varianti più resistenti al batterio e li mettono a disposizione per le adozioni. Dall’altra, per ogni albero adottato ne viene piantato un altro e, con il ricavato, si comprano piante da donare agli agricoltori che non hanno terreni abbastanza grandi per accedere alle sovvenzioni. “È bello vedere la felicità con cui vengono a prendere piante e paletto” dice Simone Chiriatti, General Manager dell’associazione.
Dai primi alberi piantati, sono già state raccolte le olive e oggi chiunque può essere proprietario di un piccolo uliveto. Accompagnare chi adotta a visitare il proprio ulivo è parte integrante del progetto: “Ogni adozione ha una storia e tutte nascono con l’intento di dare un contributo” racconta Stefano soddisfatto e riprende: “Quando io saluto e ringrazio, sono gli altri a dire grazie. La fiducia che trasmettono è la forza che ci fa andare avanti”.
La Xylella fastidiosa
Da quando Xylella si è insediata in Italia, trovando nel Salento una zona climatica favorevole alla proliferazione, il batterio killer ha distrutto oltre 21 milioni di ulivi. A dieci anni dalla prima rilevazione, nel 2013, la superficie demarcata come infetta è pari al 40% del territorio pugliese, circa 8000 km², quasi il doppio del Molise. Il rischio è la desertificazione.
“È una guerra. Il virus non ha risparmiato nessuno”, ripete Stefano. Anche lui, in poco tempo, ha perso gli ottocento alberi secolari che erano appartenuti alla sua famiglia e gli altri duemila di cui si occupava, ritrovandosi senza lavoro: “Il Covid ha lasciato moltissime vittime. Qui sono morti gli ulivi. Non è lo stesso, ma noi siamo legati a questo territorio e alla terra, come a una persona fisica”.
Definita la peggior emergenza fitosanitaria al mondo, Xylella ha avuto sul territorio un impatto devastante: oltre 5.000 olivicoltori hanno perso il lavoro, 160 frantoi sono stati chiusi, la produzione nazionale di olio è dimezzata e il tasso di inquinamento è aumentato dell’8%. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per i ritardi accumulati nelle ispezioni e nell’abbattimento di piante infette, stimando un danno di 1,2 miliardi di euro.
Ricreare gli uliveti del Salento
Chi adotta un albero, ne diventa quasi genitore: sceglie il nome, riceve un certificato di adozione e almeno un litro d’olio l’anno e, così facendo, crede nella rigenerazione del territorio.
Ci crede Stefano, mentre fissa sui tronchi le targhette per le nuove adozioni, e precisa: “Il Salento non è quello che si vede ora, era altro”. Ci credono Paolo, Rocco e Raffaele, che hanno potuto ripiantare lì dove sembrava che tutto fosse perso. Ci credono zia Monica e nonna Manu, che hanno regalato un ulivo al neonato nipote Edoardo, perché lo possa visitare quando sarà grande; Valeria, che desiderava contrastare la tristezza del grigio delle campagne deserte e fare spazio al verde; Maria, che ha dedicato due alberi ai suoi genitori, vittime di un incidente stradale, per avere un posto felice in cui andarli a trovare; Carmen, che ha deciso di aiutare la sua terra e non perdere altro tempo e Nina che vuole “un alberello piccolo, spelacchiato… tipo il cagnolino che scegli al canile”.
Ci credono anche oltralpe: Denis ed Ernest, che dall’Inghilterra sono soliti passare le vacanze in Salento, e sono stati i primi a finanziare il progetto, adottando cento ulivi; Anne e Lorenzo, partiti dalla California verso Martano solo per vedere il loro albero; Wayne, che ha dedicato a sua moglie Kate un ulivo e una poesia: You, me & the olive tree.
Sono queste alcune delle persone che, “rinunciando a una pizza l’anno”, come direbbe Stefano, hanno deciso di finanziare la riforestazione delle campagne salentine.
Il futuro è verde
“I risultati raggiunti sono straordinari”, conferma Simone: 18.000 ulivi adottati, 30.000 piantati, 15.000 donati, 7.000 persone coinvolte, 60 aziende collaboratrici, quasi 100 agricoltori supportati e 75 ettari ricostruiti. La speranza è che questo sia solo l’inizio: “Se ognuna delle persone che ha adottato parlasse con un’altra, sarebbero il doppio, con un’altra ancora, il triplo. Noi abbiamo fatto tanto, ma ciò che a noi sembra tanto su 21 milioni è niente.” Stefano è d’accordo: “Al momento siamo una formica che si sta muovendo nel deserto, ma questa formica sta raccogliendo tante altre formiche dietro di sé. È una rivincita”.
Stefania Malerba
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