Hai mai provato il Dry January?
Se anche tu, prima di quest’anno, non avevi mai sentito di parlare di Dry January, questo articolo fa al caso tuo.
Di cosa si tratta?
Letteralmente traducibile come “gennaio secco”, il Dry January è un’iniziativa che è stata lanciata ben undici anni fa in Inghilterra, per promuovere un mese senza alcol dopo i bagordi delle feste di fine anno.
Quello che si cerca di ottenere, insieme alla più auspicata eliminazione dell’alcol per un mese intero, è per lo meno una riduzione del suo consumo, per il raggiungimento di un uso più moderato e consapevole.
I benefici si notano già nelle prime settimane: si riesce a dormire meglio, si perde peso e ci si trova uno stato emotivo migliore.
Quest’anno, al Dry January, hanno preso parte quasi nove milioni di inglesi. Ma la moda si è diffusa anche nel resto d’Europa. L’Inghilterra, infatti, è uno dei paesi europei in cui i tassi di consumo di alcol sono più alti. Tra i dieci paesi del mondo in cui si beve di più, nove sono nell’Unione Europea. La Danimarca occupa il primo posto, seguita dalla Romania. Sul podio, medaglia di bronzo, si colloca la Gran Bretagna. L’Italia non è nella prima decina, anche se, negli ultimi anni, il consumo di alcol, soprattutto negli adolescenti è aumentato. Lo stesso è accaduto anche in Francia e Spagna, in cui si presentano livelli simili.
In Nord Europa, si beve di più. Che sia per sopportare le temperature più basse, per non pensare alle poche ore di luce solare o per semplice tradizione, sono questi i paesi in cui si è cominciato a parlare di binge drinking, intendendo con l’espressione un’assunzione non controllata di alcol per raggiungere prima lo stato di ubriachezza. Bere molto e in poco tempo, insomma.
Con l’appena iniziato 2024, si è registrato che un adulto su quattro ha deciso di partecipare al Dry January. “Sentivo di doverlo al mio corpo” è stata la risposta di molti degli intervistati, dai 20 ai 30 anni. Proprio in questa fascia si è riscontrato un cambio di abitudini: al vino si preferiscono birre e superalcolici, un consumo più sporadico rispetto alla “bottiglia che non deve mancare in tavola quando si mangia” ma più intenso, e potenzialmente pericoloso.
Altri invece preferiscono parlare di “gennaio umido”, se non secco, che consisterebbe nel ridurre le uscite settimanali e il collegato consumo di bevande alcoliche. Il proposito è quello di raggiungere un cambiamento, in maniera più lieve e quindi più realistica, e magari eliminare dalla lista dei buoni propositi anche il comune “Quest’anno vorrei bere di meno”. Non è impossibile.
Secondo gli esperti, il Dry January offre anche la possibilità di mettersi alla prova e riflettere su un’abitudine che si tende a sottovalutare, il “Prendo giusto due birre”, l’amaro di fine pasto o un bicchiere liscio prima di andare a dormire.
“Che male c’è?” si chiederà qualcuno.
L’alcol, dopo il tabacco e l’alta pressione, è il terzo fattore di rischio di mortalità più diffuso nei paesi europei. Il pericolo aumenta con il diminuire dell’età in cui si comincia a bere e con l’assimilazione del consumo alcolico a una routine che non è necessario tenere sotto controllo. Quanto prima si comincia, più saranno le occasioni in cui si beve.
Mettendo da parte i casi estremi, in cui il consumo di alcol si trasforma in dipendenza, provocando anche l’accentuarsi di altri stati di instabilità emotiva, quali depressione e ansia, un limite “salutare”, seppure a lungo andare il suo consumo rimanga nocivo, sarebbe quello di due bicchieri al giorno, non tutti i giorni e con un massimo di dieci bicchieri a settimana.
Che si decida di partecipare al Dry January, anche conosciuto come Drynuary, o di non farlo, l’importante è conoscere i danni e i benefici e agire consapevolmente.
In ultimo, per chi se lo stesse chiedendo: no, la carne in padella sfumata nel vino non conta come consumo di alcol.
Stefania Malerba
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