Shaharnush Parsipur – Donne senza uomini: Il giardino come forma di rinascita
“Ogni giorno la donna attendeva pazientemente che uscisse per trovare il coraggio di muoversi. Se l’uomo era a casa lei non trovava il coraggio e si rannicchiava in un angolo. Era abituata a non muoversi da trentadue anni.”
La casa editrice Aiep Editore fa arrivare in Italia questo piccolo e intenso gioiello della scrittrice iraniana Shaharnush Parsipur, Donne senza uomini. C’è molto da dire su questo breve romanzo: Quattro donne e un giardino che si danno il “cambio” durante il romanzo per narrare la loro storia.
La storia prende vita non dallo “sguardo” maschile ma dalla parte delle donne che si raccontano.
La Parsipur in questo romanzo come negli altri romanzi come sostiene la traduttrice nella prefazione Anna Vanzan, manifesta l’ ‹‹interesse per l’universo femminile››.
L’universo femminile in un mondo dominato dagli uomini è un mondo i cui le donne non possono prendere decisioni sul loro destino.
Sono donne che non hanno niente altro che offrire la propria Verginità e bellezza per conformarsi al dominio e alla società strettamente religiosa e patriarcale. Si guarda alla donna come oggetto da celare allo sguardo altrui, sebbene celate dal ciador non mancano le violenze sessuali.
È quello che succede alle donne di questo romanzo Munes e Fai’ze.
La particolarità di questo romanzo è che si apre con la descrizione del giardino, un po’ come succede nel Gattopardo di Lampedusa dove si sente odore di morte. Il giardino di Donne senza uomini è un giardino dell’Eden quasi, un giardino di ‹‹amarene e ciliegi››.
Salta all’occhio l’onnipresenza del colore verde, ‹‹verdissimo›› che sembra di volerci indicare qualcosa sul suo significato, questo è solo la mia interpretazione.
È un colore che si ripete per tutta la durata del romanzo. Donne senza uomini, un titolo evocativo è immerso nel verde, nel caos dei disordini sociali e nel dominio senza fine dell’uomo. Se pensiamo al fatto che la scrittrice è iraniana, di conseguenza dobbiamo pensare al peso che suscita la religione islamica.
È proprio nell’Islam che ricorre il colore verde. Nel Corano come sostiene lo studioso e simbolista Michel Pastoureau, ricorre ‹‹otto volte›› il colore verde. Questo colore dice Pastoureau è un colore ‹‹positivo›› è associato alla ‹‹vegetazione››, alla ‹‹primavera›› e al ‹‹paradiso››. Il verde è il colore del profeta Maometto, quest’ultimo aveva una certa predilezione per questo colore. (in seguito alla sua morte avvenuta nel 632 diventa anche un colore politico).
Ecco spiegato la presenza di questo colore nel romanzo di Parsipur come anche la presenza del giardino a Karaj. Era stato già Marco Polo nel Milione a parlare del giardino e della presenza delle vergini in questo luogo.
L’autrice però trasforma questo giardino di Karaj, in un gineceo in cui queste donne si sottraggono alle regole della città di Teheran e al dominio maschile. È come nel Decameron del Boccaccio: scappano dalla città per rifugiarsi in aperta campagna.
Ogni storia narrata in questo romanzo è un colpo al cuore: sono storie in cui il ruolo femminile viene associato all’uomo senza quest’ultimo esse non sono niente.
Si guarda alla bellezza e alla castità che simboleggia la qualità e un valore economico.
Cosa succede però se una donna non desidera conformarsi alle regole sociali?
Diventa un albero come Mahdokht. Si percepisce il realismo magico in Donne senza uomini. Si arriva a uccidere il coniuge come nella storia di Farrokhlaqa intrappolata in un matrimonio senza amore e bloccata letteralmente sotto il peso di suo marito.
Nella Teheran del 1953 è importante come ancora oggi salvaguardare l’onore, l’onore della famiglia. Se una donna rovina l’onore con un suo atteggiamento è condannata con la morte o con il ripudio. È questo che accade alla triste e violenta vicenda di Munes. Quest’ultima come dice Anna Vanzan:”è una ribelle decisa a vivere come meglio le pare”.
Colpisce la vicenda della prostituta Zarrinkolah che inizia a vedere i suoi clienti senza testa è come se su di loro effettuasse la castrazione. Il suo corpo che è involucro per il desiderio degli uomini e per la prole, si assoggetta al rito dell’abluzione. È Mircea Eliade antropologo e storico rumeno a parlare nel suo saggio Enciclopedia delle religioni: il rito, oggetti, atti, cerimonie dell’abluzione.
“Le abluzioni sono lavaggi rituali completi o parziali, del corpo umano oppure di oggetti che entrano in contatto col corpo stesso, come utensili di cucina o cibi, o talvolta, di specifici oggetti sacri, come statue di divinità o di santi. […] Occorre dire che si tratta di atti simbolici intesi non a produrre la pulizia fisica, ma a rimuovere l’impurità e la contaminazione rituale”.
La prostituta Zarrinkolah attua su di sé la tortura delle abluzioni per togliersi l’impurità, la contaminazione dei rapporti sessuali con i clienti “senza testa”. Il corpo in seguito a questo lavaggio rituale che attua per ‹‹cinquanta volte›› fino a bruciarle la pelle, diventa il simbolo della riappropriazione del proprio corpo. Ogni racconto è una voce della donna.
Parspipur in un racconto in particolare, quello di Munes e Fai’ze fa percepire l’eco della condanna, vale a dire fa percepire l’idea che sebbene una donna voglia vivere essere libera dal peso maschile, cerca allo stesso tempo di riacquistare i suoi favori perdendo la dignità.
In una Teheran del 1953 in cui le donne dovevano uscire solo con il ciador, che dovevano arrivare caste al matrimonio e con l’idea che prendere una decisione fosse una condanna.
Queste donne fuggono dalla città perdendo tutto tranne la forza per un mondo fatto solo di donne, in quel giardino mitico simbolo di rinascita.
“Stiamo andando a Karaj, per procurarci il pane da sole e liberarci dall’autorità maschile”
Il romanzo donne senza uomini scritto a fine anni Settanta apparso sulla rivista “Alefba” nel 1974, venne censurato in patria. La scrittrice che per due volte è stata incarcerata senza accusa formale e che vive negli Stati Uniti non smette di dare voce alle donne.
Emilia Pietropaolo
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