Storia della forchetta, strumento del Diavolo
Tra le posate che gli occidentali utilizzano a tavola, la forchetta è senz’altro quella di diffusione più recente.
Mentre coltelli e cucchiai venivano usati nella loro forma primitiva già in epoca antica – seppure raramente, poiché si preferiva mangiare con le mani – e divennero utensili comuni a tavola nel Medioevo, la forchetta ha una storia più altalenante anche a causa della sua forma particolare, troppo simile al forcone di Satana per essere considerata accettabile dai buoni cristiani del passato.
Una prima versione di forchetta può essere considerata il forcone usato dalla servitù nell’antica Grecia per infilzare le carni durante la cottura, sebbene questo non venisse affatto considerato una posata, ma un utensile da cucina e nulla di più. A Roma, in epoca tardo-imperiale, si diffuse tra i nobili un piccolo attrezzo con due rebbi – la ligula o lingula – da usare esclusivamente per alimenti appiccicosi come datteri o dolcetti al miele, ma l’uso di questa posata decadde insieme all’Impero, restando soltanto sulle tavole d’Oriente.
E fu proprio dall’Oriente che la forchetta approdò in Italia, quando la principessa bizantina Maria Argyropoulaina sposò nel 1004 Giovanni Orseolo, figlio del Doge Pietro II. Giunta a Venezia dopo il matrimonio con bauli pieni di monili e tessuti della sua terra, Maria scandalizzò i veneziani durante il banchetto di nozze mangiando col piruni – dal greco peiro, infilzare, che divenne pirón in dialetto veneto – una piccola forchettina d’oro a due rebbi, troppo simile al forcone del demonio per non suscitare la riprovazione dei membri del clero, che infatti ne proibirono l’utilizzo e usarono la morte della giovane, poco dopo, come prova dell’ira divina per lo strumento infernale.
Soltanto durante il Rinascimento, quando le corti d’Europa iniziarono a disprezzare l’idea di mangiare con le mani come i popolani, la forchetta cominciò ad essere presente sulle tavole più nobili e trasgressive. Bandita nei conventi e nei monasteri, fu certamente in uso a Firenze presso le famiglie Pucci e De’ Medici, tant’è che fu proprio Caterina De’ Medici, data in sposa a un Valois, a introdurre la posata nella corte francese, che però non ne apprezzò la funzionalità se non con la reggenza del Re Sole.
Le aspre opinioni religiose sull’uso della forchetta furono completamente accantonate solo sul finire del Settecento, quando sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone si era ormai adottato un modello più corto a quattro rebbi, ideato dal ciambellano di corte Gennaro Spadaccini, per facilitare l’arrotolamento degli spaghetti.
Certamente questa funzionalità permise una larga diffusione della posata nel Sud Italia, dove si consumava maggiormente la pasta lunga, anche se il suo utilizzo sulle tavole comuni restò, fino ai primi del Novecento, riversato al capo-famiglia.
Claudia Moschetti
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