Suicidio assistito: Anna è il primo caso in cui a pagare è il Servizio Sanitario Nazionale
“Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere”, ha scritto la donna come ultimo messaggio.
“Anna”, nome di invenzione di una donna di 55 anni, è la prima italiana cui il Servizio Sanitario nazionale ha coperto le spese mediche del suicidio assistito.
La donna, affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva, è la quinta persona in Italia seguita dall’Associazione Luca Coscioni, ad aver avuto il via libera per la morte volontaria assistita.
A partire dal 2019 grazie alla sentenza numero 242 della Corte costituzionale (soprannominata Cappato-Antoniani) in Italia si può ricorrere al suicidio medicalmente assistito, ma ATTENZIONE non si tratta di eutanasia (che in Italia è illegale come riportato nell’articolo 579 – omicidio del consenziente). Le due pratiche hanno in comune la volontà (libera e consapevole) della persona (cosciente e in grado di capire le conseguenze delle proprie azioni) che ne fa richiesta e l’esito finale (voluto dalla persona).
La differenza riguarda le modalità di esecuzione e di coinvolgimento altrui: nel caso del suicidio medicalmente assistito è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale, l’eutanasia invece prevede l’intervento di un medico per la somministrazione.
Le condizioni che la persona deve soddisfare per poter richiedere il suicidio assistito sono 4:
- Deve essere pienamente capace di intendere e di volere
- Deve avere una patologia irreversibile
- Deve avere una patologia portatrice di sofferenze fisiche o psichiche “intollerabili”
- Deve essere tenuta in vita da trattamenti per il sostegno vitale
“Anna” per vedere riconosciuto il rispetto delle sue volontà ha dovuto attendere un anno, nonostante avesse già tutte le carte in regola ed è stata inoltre grandemente ostacolata lungo il percorso.
La donna dopo aver atteso 251 giorni, si rivolge al Tribunale di Trieste affinché ordini all’ASUGI (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina) di effettuare le verifiche necessarie per ricorrere al suicidio assistito. Dopo un mese finalmente la sentenza arriva: il Tribunale intima entro 30 giorni il completamento delle pratiche e condanna l’ASUGI al pagamento di 500€ per ogni giorno di ritardo.
Inoltre “Anna” si è dovuta recare di persona, nonostante le sue condizioni di salute, presso i Carabinieri per depositare l’esposto contro ASUGI e partecipare alla prima udienza civile nel Tribunale di Trieste.
Secondo il sondaggio “Osservatorio sul Nord Est” pubblicato dal Gazzettino, 82% degli italiani concorda con l’affermazione «quando una persona ha una malattia incurabile, e vive con gravi sofferenze fisiche, è giusto che i medici possano aiutarla a morire se il paziente lo richiede».
Un ulteriore indagine, curata dal Censis, mostra anch’essa un atteggiamento favorevole nei confronti della pratica del suicidio assistito (74% degli intervistati, ci cui: 80% FDI, 79% Lega, 86% Forza Italia, 83% M5S, 88% PD).
Nonostante questi dati siano di certo confortanti, aspettare un anno per poter accedere a un servizio sanitario in condizioni di notevole urgenza è inaccettabile. Proprio per questo motivo l’associazione Luca Coscioni promuove la campagna Liberi tutti , affinché le regioni approvino una legge che introduca tempi e procedure certi per accedere al suicidio medicalmente assistito. Sul sito si legge:
«Così le persone maggiorenni affette da patologie irreversibili, con gravi sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli, tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale, che intendono interrompere la propria vita, rimangono in attesa di ASL e Comitati Etici territoriali che, per svolgere le loro funzioni di verifica delle condizioni, possono impiegare mesi. Un tempo che molte persone che hanno bisogno di essere aiutate a morire non hanno.
Per questo, nel rispetto delle competenze territoriali, con l’Associazione Luca Coscioni raccogliamo firme per delle proposte di legge regionali che garantiscano il percorso di richiesta di “suicidio” medicalmente assistito e i controlli necessari in tempi certi, adeguati e definiti.»
Il dibattito sulle norme in materia di eutanasia parte per la prima volta in Parlamento nel 2016. Nel marzo 2021 una proposta di legge riceve finalmente il primo via libera dall’Aula della Camera, per poi però arenarsi in Senato. È proprio per questo che l’associazione ha agevolato la creazione di un intergruppo parlamentare (ossia un gruppo di membri dell’assemblea parlamentare che si riunisce per “spingere” e coordinarsi su tematiche di comune interesse affinché si agisca).
Come affermato da Cappato: «Non deve essere più consentito di far attendere quasi un anno fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano, con il rischio (come stava accadendo ad Anna), di perdere le ultime forze necessarie per l’autosomministrazione del farmaco».
La strada, come sempre per tematiche di questo genere nel nostro paese, sembra tortuosa ma come sempre si combatte e ogni tanto si vince. Ed è quella vittoria che vale tutto.
Sofia Seghesio
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