Le fattorie del sangue: cosa si cela dietro gli allevamenti intensivi?
Ormai sappiamo che la crudeltà dell’uomo non ha limiti e, quando si tratta di guadagno, non guarda in faccia a nessuno.
Continuamente su social e televisione ci vengono proposte immagini terribili di allevamenti intensivi dove maiali, mucche e galline sono costrette a vivere in uno spazio ristretto per dare cibo e risorse all’essere umano.
Oggi, però, tratteremo di un argomento a molti ancora sconosciuto: le fattorie del sangue.
Di cosa si tratta?
Beh, sono veri e propri allevamenti di cavalli, nati maggiormente in Argentina e Uruguay, dove questi poveri e maestosi animali vengono sfruttati per scopi disumani.
Gli allevatori ingravidano le cavalle per farle produrre gonadotropina, un ormone che stimola la riproduzione degli animali.
L’eCG, ovvero gonadotropina corionica equina, si estrae dal sangue delle femmine di cavallo, in particolare si riescono a prelevare circa 10 litri a settimana di sangue.
In pratica gli animali sono allevati e ingravidati continuamente per produrre questo ormone.
Il pregnant mare serum gonadotropin, anche detto PMSG, serve per produrre dei farmaci, ma non per l’uomo, bensì destinati ad allevamenti intensivi.
È molto semplice: si estrae il PMSG Dalle cavalle, si produce, per esempio il Fixplan, e si utilizza per sincronizzare la fertilità delle femmine di maiale.
Così facendo, gli animali partoriranno tutti nello stesso periodo e quindi la catena industriale e di macellazione dei cuccioli avverrà in maniera più efficiente.
Questa è la triste realtà degli allevamenti intensivi, che in parte già conoscevamo, ma che fine fanno i puledri nati in maniera forzata?
I maschi sono macellati, poiché non utili alle fattorie, mentre le femmine avranno lo stesso ciclo di vita delle madri.
Sicuramente non c’è alcun pregiudizio o giudizio per chi consuma carne animale, ma è importante sensibilizzare e conoscere. Fare scelte sagge per noi e per gli altri esseri viventi dovrebbe essere un obiettivo da porci.
Diventa essenziale quindi cercare di procurare meno sofferenza possibile, e evitare di favorire il commercio dell’orrore.
Martina Maiorano
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