Ousmane Sylla voleva solo tornare a casa
Ousmane Sylla si è tolto la vita il 4 febbraio, impiccandosi con un lenzuolo all’inferriata del Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Ponte Galeria.
Dei suoi ventidue anni resta la sua nostalgia di casa, il suo dolore – indelebile, ora nostro per sempre – e una scritta su un muro:
«Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta.
I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro.
L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non fa altro che piangere per me.
Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace»
Questo il suo testamento, accompagnato da un autoritratto – il tutto realizzato con un mozzicone di sigaretta.
Ousmane era arrivato a Ponte Galeria il 27 gennaio dopo esser stato trasferito dal CPR di Milo, in provincia di Trapani. Quest’ultima era stato la sua sistemazione a partire dallo scorso 14 ottobre, poi resa inagibile da un incendio appiccato da alcuni degli immigrati costretti a viverci. Già qui Ousmane aveva mostrato sintomi di insofferenza e di malesseri psicofisici, segnalati da una psicologa del centro che auspicava, difatti, al suo trasferimento in un luogo più consono. Un luogo che non fosse la prigione dei CPR.
Questi posti, pensati per trattenere i cittadini stranieri in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione, sono nella realtà luoghi infernali e invivibili, in cui non è la prima volta che si verificano suicidi.
Ousmane sarebbe dovuto uscire dal centro il 13 gennaio per la scadenza dei termini di trattenimento, ma nuove norme previste dal decreto Cutro hanno prolungato da tre a diciotto mesi il termine massimo previsto, impedendoglielo. Non avrebbe neanche potuto far ritorno al suo amato paese, inoltre, perché l’Italia non ha accordi con la Guinea e il rimpatrio, in questo caso, è impossibile.
Così Ousmane soffriva, ma le sue grida d’aiuto non sono state ascoltate.
Quando i suoi compagni si sono accorti di ciò che aveva fatto era troppo tardi, nonostante i loro sforzi, e hanno rivendicato una morte così atroce e ingiusta con la rabbia. Alcuni ospiti del centro hanno infatti iniziato a tirare pietre contro il personale, a tentare di incendiare una macchina della polizia e di sfondare porte.
Riccardo Magi, deputato e segretario di +Europa trovatosi a Ponte Galeria, ci dice: «Venerdì era stato visto disperato da alcuni operatori. Piangeva, riferiva che voleva tornare nel suo Paese perché aveva lì due fratelli piccoli di cui occuparsi, altrimenti avrebbero sofferto la fame. Era affranto, disperato per questo. Ha lasciato sul muro un ritratto di sé stesso, con sotto un testo in cui ha scritto che non resisteva più e sperava che la sua anima avrebbe risposato in pace. Da altri detenuti del settore 5 del Cpr è stato visto pregare intorno alle 3 e poi, poco prima della 5, è stato visto impiccato alla cancellata esterna del reparto.»
Facciamo rumore. Per Ousmane, per tutti.
Finché ci sarà una classe inferiore, io ne farò parte. Finché ci saranno dei fuorilegge, io sarò uno di loro. Finché ci sarà un essere umano in carcere, io non sarò libero.
Eugene Debsù
Giulia Gennarelli
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