Ricchi e poveri: doneresti il 90% della tua eredità?
Dipendiamo dalla generosità dei ricchi perché abbiamo basato il nostro sistema di vita sul profitto individuale ed è stato il più grande fallimento della nostra specie. Una donna svizzera che ha donato il 90% della sua eredità in beneficenza ce lo ha fatto capire molto bene.
Poco tempo fa Marlene Engelhorn, nipote di un ricco imprenditore svizzero, ha ereditato la bellezza di 25milioni di dollari.
Una cifra enorme, che è talmente distante dall’universo in cui vivo da non riuscire neanche a immaginarla. Del mio stesso universo fa parte il 99% della popolazione mondiale che, secondo il rapporto del World economic forum, si spartisce il 37% dell’incremento di ricchezza del 2023 (lasciando il 63% a un gruppo sempre più ristretto e privilegiato di persone).
La parte scioccante della notizia sta nel fatto che dell’enorme patrimonio ereditato la giovane ereditiera ha deciso di donarne il 90%. Certo, è facile pensare «Ha fatto bene! Che altro avrebbe dovuto fare?»…ma è altrettanto facile parlare coi soldi degli altri, con le opportunità che molto probabilmente non avremo mai…di fronte alle quali chissà se le nostre belle parole ancora reggerebbero.
La donna intervistata ha dichiarato:
«Non ho fatto nulla per questa eredità. Questa è pura fortuna nella lotteria della nascita e pura coincidenza. Le persone che ci hanno effettivamente lavorato probabilmente non ne hanno ricavato molto. Quindi in realtà viene dalla società, ed è lì che dovrebbe tornare. Quando è arrivato l’annuncio mi sono resa conto che non ero proprio felice e ho pensato tra me e me: c’è qualcosa che non va, deve succedere qualcosa! Mi viene sempre in mente Bertolt Brecht: “Se io non fossi povero, tu non saresti ricco”. Poi ho cominciato a fare sul serio. La percentuale più ricca delle famiglie austriache possiede quasi il 40% di tutti i beni. La ricchezza individuale è strutturalmente legata alla povertà collettiva nelle nostre società. Non volevo prenderne parte.»
Il piano della donna sembra uscito da un romanzo di Roald Dall: verranno estratte a sorte 10mila persone sconosciute a sorte per discutere di quali siano le opzioni migliori per redistribuire il suddetto denaro. Pochissime sono le condizioni poste dalla donna, che per il resto non avrà voce in capitolo: che non vengano finanziati progetti che violino i diritti umani e che in qualche modo questo denaro ritorni alla comunità, nella forma più adatta.
Durante l’intervista l’ereditiera è stata paragonata a grandi nomi di ricchi benefattori come Bill e Melinda Gates o l’ex moglie di Jeff Bezos, MacKenzie Scott. Sorprende il fatto che se ne sia distanziata, evidenziando la finta forma di filantropia che spesso risulta più un lavaggio di coscienza:
«Voglio davvero prendere le distanze da questo. Quando i privati mettono insieme così tanto potere geopolitico, ciò è altamente problematico, antidemocratico ed estremamente pericoloso. MacKenzie Scott ha rapidamente recuperato ciò che ha donato così generosamente attraverso i proventi degli investimenti derivanti dalle sue azioni Amazon, e Amazon, lo sappiamo, sfrutta sistematicamente le persone e il clima. Questo è totalmente disonesto.
Non è possibile che prima si risparmi sulle tasse in tutto il mondo e poi si diventi caritatevoli e si doni una frazione della propria ricchezza. Molto spesso queste fondazioni non sono altro che un modo per nascondere beni. Una piccola parte del capitale viene utilizzata per rimediare al caos creato da questi grandi sistemi. Questo è filantrocapitalismo. Semplicemente non va bene che dipendiamo dalla buona volontà dei super-ricchi.»
Ed è davvero così, dipendiamo dai ricchi: il nostro lavoro, il nostro pane dipende esclusivamente dall’1% della popolazione, che bisogna sempre augurarsi la mattina non si svegli col piede storto e non decida di trasformare la nostra vita in una puntata di Black Mirror (più di quanto non lo sia già).
Un 1% con un’influenza un tempo solo economica, ma che negli ultimi anni si è ampliata alla politica e persino al futuro del pianeta. Infatti, i dati dell’Oxfam mostra come quell’1% di super-ricchi inquini più del 66% più povero, il che dà loro la capacità di influenzare in maniera determinante il futuro del nostro pianeta, senza che tutto il resto del globo possa farci niente.
Non c’è nulla di cui stupirsi ovviamente, si tratta solo del frutto di quello che J.Moore e A.Malm hanno definito come Capitalocene, l’era in cui il fulcro non è più l’uomo, ma il sistema capitalista, tanto potente da aver causato una nuova era geologica a causa di uno sfruttamento incontrollato delle risorse.
Se il sistema ha potuto instaurarsi e permanere saldo sino ad ora è grazie alla sua incredibile capacità di adattamento, che ad esempio gli ha permesso di ristrutturarsi dopo la crisi del 2008. Ora però la storia sembra essere cambiata: la crisi climatica è diversa dalle precedenti, poiché minaccia le fondamenta dal nostro sistema economico, impedendo lo sfruttamento no stop di risorse naturali.
Che lo si voglia o meno dunque la strada green sembra ormai l’unica percorribile, ma per intraprenderla veramente le politiche intraprese fino ad ora potrebbero non bastare.
È necessario ripensare gradualmente il nostro modo di pensare all’economia e al mercato e le proposte non mancano. Alec Ross, ex consigliere di Hillary Clinton e ora professore alla Bologna Business School, sostiene che si debba passare da un capitalismo azionario a un capitalismo degli stakeholder. Per farla semplice questo implica che le valutazioni economiche non possano più basarsi solamente sulla massimizzazione dei profitti per gli azionisti, ma debbano includere anche la realtà sociale, l’impatto ambientale e sui territori delle aziende, coinvolgendo tutti gli attori in una prospettiva che non guarda più ai soggetti economici come entità isolate e a se stanti ma coglie l’essenza relazionale della realtà.
In un sistema come il nostro, in cui il valore della vita si basa solo ed esclusivamente sul profitto e sul consumo, la cessione del 90% del patrimonio alla comunità è un esempio perfetto di risetting del sistema dei valori e dell’ordine delle priorità. Rappresenta quell’uscita dalla caverna nella quale ci hanno (e ci siamo) rinchiusi, raccontandoci che quello era l’unico ed il migliore dei mondi possibili. Non viviamo per i soldi e non ci renderanno più felici. Ovvio, non si può (quasi) vivere senza, ma il nostro valore e la nostra felicità non dipende da quanto produciamo. Siamo qualcosa di più di operatori che girano una manovella.
Sofia Seghesio
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