Da principesse a donne: l’evoluzione delle protagoniste Disney
Non c’è bambina del mondo occidentale che non conosca le principesse Disney, ma gli stereotipi trasmessi sono dei modelli di genere?
Premessa psicopedagogica: i protagonisti delle fiabe hanno un compito importantissimo: insegnano ai più piccoli cosa vuol dire essere maschietto e femminuccia nella società in cui crescono.
Questo avviene tramite un processo di identificazione, per cui si crea un modello di genere inconsapevole, un insieme di credenze su cosa sia mascolinità e femminilità, indipendentemente dall’appartenenza biologica all’uno o all’altro sesso.
Non c’è un bambino del mondo occidentale che non conosca i personaggi Disney. Ma tutti i principi e le principesse creati dalla fantasia di Walt possono ancora essere dei modelli di genere? La risposta è no.
La rivoluzione nei personaggi disneyani è evidente, dalla dolce e oblativa Cenerentola fino all’intrepida e autodeterminata Elsa. Principesse ed eroine rappresentano il frutto del tempo in cui sono concepite: la loro evoluzione riflette quella degli ideali di genere nell’arco di un secolo.
- L’epoca classica della Disney
Siamo nel 1937: la protagonista è Biancaneve. Dopo di lei, Cenerentola (1950) e La bella addormentata nel bosco (1959).
Le prime principesse sono femmine tradizionali, giovani, bellissime, gentili, sottomesse, ingenuotte, dedite alla casa e alla cucina, cantano e ballano senza guidare il proprio destino, passive, in attesa della magica apparizione del principe azzurro che le renderà felici. Sono molto capaci nell’ambito domestico ma non sanno sopravvivere fuori casa: grazie a dio compare un giovane uomo, ricco, forte e bello, che dona loro il «vissero per sempre felici e contenti».
Lo stereotipo socialmente diffuso è quello della donna passiva, il messaggio trasmesso alle bambine è “trovare l’amore della vita è il tuo scopo”, nonché “la tua bellezza è l’arma per conquistarlo”.
Niente di più lontano dalla nostra quotidianità, ma niente di più vicino al contesto storico anni ’50.
E nonostante tra Biancaneve e Cenerentola passino ben 13 anni (nei i quali le donne, durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno avuto modo di dimostrare il loro valore), le principesse non cambiano: bellissime, modeste, abili con scopa e ramazza, pure, virtuose e in attesa di un bel principe.
- Il Rinascimento Disney
Tutto cambia negli anni ’90: Ariel (1989), La bella e la Bestia (1991) ma anche Pocahontas (1995) e l’incredibile Mulan (1998).
Le nuove protagoniste sfidano padri e famiglia, ed escono finalmente di casa. Cenerentola e Biancaneve sono ormai demodé: compaiono sulla scena eroine autodeterminate come Ariel, Belle, Pocahontas, Jasmine e Mulan, emblemi della femminilità indipendente che rifiuta gli standard per acquisire tratti quasi virili.
Certo è che sono ancora principesse bellissime, ma non più solo bionde occidentali, ma più atletiche e forti guerriere. Questa nuova generazione di principesse ribalta lo schema di genere nella relazione tra i sessi: donne che salvano uomini, combattono per il loro padre, proteggono le città e sfidano addirittura gli Unni!
Ma non è tutto oro quello che luccica, almeno all’inizio.
Ad esempio, Ariel è emancipata, indipendente, cocciuta e ribelle, e ha un sogno tutto suo: vivere sulla terra con gli umani. Però c’è un però: per amore, rinuncia alla sua voce, cedendola a Ursula (la villain ovviamente brutta, grassa e zitella). Anche questa volta, intelligenza e caparbietà non sembrano essere abbastanza per autorealizzarsi.
Solo con La bella e la bestia la costruzione della coppia e dell’amore supera il colpo di fulmine, e da questo trampolino di lancio nasce Jasmine, che non ha assolutamente voglia di trovarsi un principe azzurro.
Poi è il tempo di Pocahontas (1995), lo spirito libero un po’ stereotipato ma in perfetta armonia con la natura e il suo popolo, al pari di Mulan, che muove il suo cuore in direzione della famiglia, in un bellissimo caleidoscopio di valori tramandati di generazione in generazione, ma non ci pensa un secondo a disobbedire al padre per autodeterminarsi: bada a sé stessa, diventa una guerriera, con dignitosa testardaggine sconfigge gli Unni e, con loro, lo stereotipo della donna fragile.
- Gli anni 2000
Nel nuovo millennio vediamo un altro cambio di registro: La principessa e il Ranocchio (2009), Rapunzel (2010), Brave (2012) e Frozen (2013) stravolgono il panorama disneyano.
Donne, non solo principesse, che lottano per il proprio destino senza un uomo accanto, senza legami sentimentali.
Tiana lotta non in quanto principessa, ma per il suo futuro: vuole aprire un ristorante. Con Rapunzel si sembra fare un salto indietro, ma in realtà nella sua sbadataggine e bellezza troviamo la voglia di spezzare la magia del destino: tagliando i capelli diventa la donna che è.
Merida rappresenta il conflitto generazionale madre e figlia, tra tradizioni basate su virtù femminili e voglia di cambiamento, e spiana la strada alla vera rivoluzione: vive libera per le Highlands, combatte contro gli orsi, sfida i maschietti e dirige il suo futuro dove meglio crede. Verso la sua idea di personalissima felicità, che non necessariamente corrisponde a quella della madre.
Sul campo arato e seminato da Merida fioriscono Anna ed Elsa di Frozen, emblemi delle transazioni amorose e non più del colpo di fulmine.
Straordinaria protagonista è Anna, sorella di Elsa: il principe Hans è uno spocchioso egoista imbroglione, mentre il rozzo Kristoff (imperfetto ma genuino) conquista il cuore della principessa: messaggio anche di tolleranza, oltre che autodeterminazione, nella scelta del partner.
Il capovolgimento degli stereotipi di genere è compiuto?
In parte. Oggi i modelli femminili nell’animazione Disney sono più abili, coraggiosi e indipendenti; la relazione con il partner non è basata solo sulle qualità fisiche di forza, coraggio e bellezza ma sulle qualità psicologiche e affettive. Sparisce magicamente (e direi, finalmente) il colpo di fulmine: la Disney sostituisce i miracolosi scambi di sguardi civettuoli con prove d’amore vere e proprie.
Elisabetta Carbone
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