Geisha: dall’arte allo stereotipo
In ogni film dell’antico Giappone che si rispetti, è sempre presente la figura di una donna: la geisha.
In Occidente è concepita come prostituta o concubina dell’imperatore, ma anche come una sorta di schiava.
L’immagine che si ha di questa fanciulla è quella inculcata da film e storie del Giappone antico. Pelle bianchissima e capelli neri raccolti, con un rossetto rosso sgargiante.
Ma chi è la geisha?
Le saburuko possono considerarsi antenate delle geishe. Erano cortigiane che intrattenevano i nobili durante il VII secolo. Vennero sostituite dalle juuyo, prostitute degli aristocratici.
Le prime geishe iniziarono a comparire in Giappone nel 1600 come cortigiane e intrattenitrici durante le feste dell’alta società. Quando, però, si svilupparono i bordelli, la geisha iniziò a confondersi con la figura della prostituta e, addirittura, uscirono leggi che vietavano alle geishe di esercitare tale attività.
Come si diventava una geisha?
Il percorso per diventare geisha era lungo e iniziava fin da quando le bambine erano piccolissime. Arrivavano nella okiya, ovvero la “casa delle geishe”, e imparavano varie attività domestiche e di intrattenimento, come danzare o cantare.
Una volta superato questo livello, si imparava come indossare il kimono. Le giovani assistevano ai banchetti esibendo il tradizionale trucco che le contraddistingueva. Infine diventavano maiko, apprendiste che potevano scegliere un nome d’arte ed esercitare la loro professione di intrattenitrici.
Dovevano però passare cinque anni prima che la maiko diventasse geisha e, lavorando, doveva ripagare il debito accumulato durante gli anni di apprendistato nella okiya.
Il percorso era particolarmente faticoso.
Altro tratto che contraddistingue la geisha è l’abbigliamento particolare. Il trucco bianchissimo veniva realizzato con una cera profumata e fondotinta bianco, creato dall’unione di acqua e polvere di riso. Gli occhi erano truccati con eye-liner nero e mascara. Infine si passava al rossetto rosso tradizionale.
Il kimono indossato veniva decorato con fantasie diverse per rappresentare significati ben precisi: foglie, piume di aquila o gusci di tartaruga.
Questo rituale permetteva alla donna di lasciare il proprio corpo naturale e cambiare identità, diventando una grande artista.
Accanto al vestiario ed al trucco non mancavano le regole morali, un vero e proprio stile di vita che doveva seguire ogni geisha.
Con l’arrivo degli occidentali, però, la geisha diventò una donna sensuale e nacque l’idea distorta della sua professione.
Venivano considerate prostitute altolocate che avevano come compito quello di compiacere gli uomini. In realtà non era così, poiché la geisha rappresentava, in Giappone, la donna libera ed emancipata. La stessa etimologia del suo nome significa persona d’arte.
Insomma la geisha è una delle figure più importanti e straordinarie dell’antico Oriente. Una donna libera che rende la sua professione una vera e propria arte.
Come al solito, in Occidente non è stata compresa e, purtroppo, ridotta ad uno stereotipo.
Martina Maiorano
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