“La vita è breve, eccetera” di Veronica Raimo – La non recensione
Dopo Niente di vero, Veronica Raimo torna col suo stile breve schietto e metaforico per raccontarci di storie di vita breve e di tutti quegli eccetera, quei brogli intricati che la arricchiscono.
Cos’hanno in comune un cetriolo in un preservativo, una casa protetta dai nani, un cane che sbatte per tutta la sua vita la testa contro un muro?
Nulla, se non il fatto di essere tutte metafore che la scrittrice inserisce nelle storie donando quel tocco irrealistico e disturbante.
Se la Raimo si fosse fermata a raccontare una storia comune, lineare e razionale l’avremmo letta senza soffermarci troppo ed avremmo pensato di averne colto subito il significato. Metterci un cetriolo in un preservativo o un cane che passa la sua vita a schiantarsi contro un muro, invece, disturba la quiete e la linearità della nostra lettura: ci fa interrogare, ci fa cercare un senso, ci fa meditare e quasi ammattire per quell’elemento fuori dall’ordinario, quasi onirico.
Questo è un libro in cui, tanto quanto le immagini, sono importanti le parole: poche ma cruciali, da rileggere due o tre volte perché le frasi prendano un senso e in certi casi lo fanno solo dopo aver letto tutto il capitolo. Una specie di puzzle che, una volta risolto, non porta a una risposta ma semplicemente ad una riflessione sulla vita…forse anche sulla tua, una prospettiva che non avevi ancora considerato.
Non si tratta di un romanzo omogeneo ma di una serie di racconti slegati, spesso in prima persona. Nessuna storia ha una fine o una morale in sé: hanno tutte il sapore di un conto in sospeso.
La Raimo non ti dà il contentino: non saprai mai l’epilogo del racconto, la decisione presa da una protagonista o la ratio dietro un determinato comportamento. Lascia frammenti, spunti di riflessione.
Al centro delle storie sono le donne con i loro dubbi: molti sull’amore, alcuni sulla vita, sul proprio ruolo o il proprio posto nel mondo.
Ci si interroga tante volte sull’idea di amare e sulla capacità di saperlo fare: su cosa voglia dire saperlo fare. Le protagoniste fuoriescono dall’idea di donna sentimentale e romantica, mostrando invece la loro paura di definire un rapporto e della difficoltà di impegnarsi, di promettersi.
Ci si chiede anche quanto dura un amore e quale sia il modo “meno doloroso” per segnarne la fine. La disperata volontà di non urtare l’altro dicendo che non lo si ama più e la triste consapevolezza che non si sarà mai perdonati.
La stessa definizione di “lasciarsi” è messa in discussione. Come se in fondo un rapporto non terminasse mai e ci rimanesse attaccato sulla pelle. Se restasse sempre un sottile suono da aggiungere al concerto delle nostre esperienze?
Si riflette anche su come un amore debba distribuirsi nello spazio: quand’è il momento giusto per dargli una casa? È necessaria la convivenza ad un certo punto?
Il libro parla anche della difficoltà di venire a patti con le proprie scelte di vita e col proprio io. Capire che forse col tempo abbiamo tradito i nostri ideali, abbiamo tradito noi stessi: quanto ci siamo distanziati dalle nostre aspirazioni di gioventù? Quante cose abbiamo accettato? A quanti compromessi siamo scesi e a che prezzo?
Ci si spinge anche a riflettere su quanto tradire quello in cui si crede possa influenzare i posteri, su che eredità si possa lasciare alle nuove generazioni nel momento in cui si abbandona una battaglia o non la si sostiene più in modo attivo (quella femminista ad esempio).
Emerge brevemente anche il tema della tanto agognata giovinezza e del bramoso (a tratti sessuale) desiderio di averla, una giovinezza che per noi rappresenta la vita come movimento non ancora toccata dalla pesantezza dei ruoli, della definizione e dell’impegno.
Il libro raccoglie quindi tanti interrogativi non risolti sui temi più disparati. Storie di vite talmente surreali da sembrarci lontane in un primo momento, ma che assumono una forma famigliare quando le si osserva da vicino. Sono episodi che potrebbe capitarci di sognare nella misura in cui il sogno, nella sua stravaganza, tenta sempre di suggerirci qualcosa, di darci un indizio ma mai la soluzione.
La nostra vita è come quella di Gino, il cane pazzo che sbatte tutto il giorno contro lo stesso muro senza mai risolversi? Siamo forse chiusi in una vita che non ci piace, come Sara nella casa degli zii in Non si guardano i nani o la giornalista in La vita è breve, eccetera? Siamo pronti a condividere una casa o abbiamo paura che arrivi La scossa e faccia crollare tutto? Lasciarsi è cancellare in toto o convivere con una Presenza per il resto della vita? Veronica Raimo lascia a noi l’ardua sentenza.
Sofia Seghesio
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