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Malinconia e melanconia: una vocale, tante differenze

I malinconici li riconosci grazie al loro aspetto taciturno, misterioso ed introverso, che nasconde un animo romantico e fantasioso.

Sono coloro che vivono la malinconia come uno stato d’animo che può manifestarsi in diversi momenti della nostra esistenza o come fosse un tratto appartenente alla propria personalità.

Sebbene risulti familiare, non va confusa con la “melanconia”, che a sua volta svela un’interpretazione diversa.

La parola melanconia affonda le sue radici nella lingua greca, derivando così da Melancholìa, formata da mélas – mélanos e chloé, traducibile in “bile nera”. Stando alla medicina greca Ippocratea, la “bile nera” indicava uno dei quattro fluidi emessi dall’organismo, ciascuno corrispondente agli umori basilari, dalla cui combinazione discendeva il temperamento e lo stato d’animo di una persona; affinché quest’ultima godesse di una buona condizione di salute, era indispensabile che i quattro fluidi fossero in una condizione di equilibrio tra loro.
L’eccesso di una specifica bile avrebbe squilibrato l’intero apparato, per cui in questo caso, la sovrabbondanza di “bile nera” generava dei veri tratti melanconici, cosa che va presa in considerazione perché può tramutarsi in una condizione patologica, i cui sintomi sono riconducibili alla depressione.
Purtroppo, coloro che sono in preda alla melanconia – che si classifica come disturbo psichico – vivono la propria vita lasciandosi completamente andare, come se nulla avesse più senso né loro avessero un obiettivo da raggiungere.

Così facendo, i sogni, la motivazione e la perseveranza danno agio allo scoraggiamento e alla costante ansia di non star vivendo in modo giusto il proprio tempo, sentendosi di conseguenza in ritardo e trascorrendo le proprie giornate vivendo attacchi di rabbia imprevedibili e per lo più ingestibili.

Domina un senso di infelicità persistente, alimentato da un senso di colpa che può riversarsi sia contro sé stessi che contro gli altri o contro la vita stessa. Difatti, è un atteggiamento tipico degli stati melanconici quello di attribuirsi colpe e farsi carico delle responsabilità di situazioni che non dipendono direttamente da noi.

Inevitabilmente questo comportamento porterà il soggetto in questione a chiudersi in sé stesso, smettendo di fare qualsiasi compito, anche primario come: mangiare, lavarsi o lavorare.

Quindi per il melanconico niente assume più valore, perché nella sua mente andrà ad innescarsi il pensiero fisso che lui, come persona, sia soltanto capace di recare ai propri cari, delusioni e danni irreparabili, a cui non c’è né ci sarà soluzione se non quella (nei casi più estremi) di attendere la morte e in virtù di ciò, molto spesso ricorrere anche al suicidio. La morte, da parte del melanconico viene vista come fine di una condizione di sofferenza e punizione giusta per le proprie colpe. 

A tal proposito, facciamo un salto alla psicologia, precisamente a Freud, il quale sosteneva che la melanconia fosse paragonabile al concetto di “lutto”, dato un elemento in comune tra loro, cioè quello della perdita.

Come il lutto è uno stato che segue la perdita di una persona cara, la melanconia invece riguarda una perdita più profonda e introspettiva: perdita sé stessi e la percezione di aver perso l’amore.
Quando ci rifacciamo all’amore, non si intende una relazione amorosa ma si intende la possibilità di poter essere amati da qualcuno, perché il melanconico non si riterrà degno di ricevere qualsiasi dimostrazione d’affetto.

Quindi, la persona melanconica “vive” sentendosi ignobile, come se avesse perso sé stesso e ogni diritto o merito che potrebbe ricevere, vive in una condizioneluttuosa” la sua intera esistenza.

È necessario provvedere ad una cura, prima che la situazione degeneri e il ricorso alla farmacologia, per quanto aiuti la persona nella gestione dell’umore, non è l’unica strada percorribile.

Innanzitutto dobbiamo sapere che si può anche avere una predisposizione alla melanconia e che può essere influenzata sia da fattori biologici e sia da fattori genetici, che intervengono causando delle alterazioni dell’umore e intaccando anche il modo (come già detto precedentemente) di rispondere alle circostanze dell’ambiente in cui viviamo. Quindi, vale la pena chiedere aiuto ad uno specialista, servendosi della psicoterapia, perché la melanconia è sostanzialmente un malessere di vivere, che nasce da dentro e non da fuori.

Avendo fatto chiarezza sulla “melanconia”, è chiaro ormai da non confonderla con la “malinconia”, che è stata molto presente in diversi autori del panorama letterario, citiamone qualcuno.

Ad esempio, Victor Hugo definiva la malinconia come “la gioia di sentirsi tristi”, in quanto la malinconia rispecchia uno stato d’animo – talvolta passeggero – o uno sguardo carico di dolcezza e fantasia nell’andare alla ricerca di qualcosa, di una bellezza dai contorni sfumati e indefiniti.

Milton, è invece un altro autore che dà vita ad un parallelismo molto tenero tra la malinconia e la figura di una musa, fonte di ispirazione e visioni profonde.

Scrive così Milton ne “Il Penseroso”: 

“Salve a te, o dea saggia e santa,/salve, assai divina Malinconia,/ il cui sacro volto troppo risplende/ per esser percepito dall’umana vista;/ perciò nella nostra debole visione/esso si vela di nero, tinta severa della Saggezza”.

Da questo possiamo leggere e interpretare la grandezza della letteratura, capace di rendere sublime e dolce anche la nostalgia di un attimo mai vissuto realmente.

Alessandra Lima

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Alessandra Lima

Sono Alessandra, classe 2001 e studentessa di lettere moderne all’Università di Napoli “Federico II”. Mi interessano la letteratura, l’arte e la fotografia, da cui quasi sempre traggo ispirazione per la scrittura che è, a sua volta, una mia passione. Rendo la penna un tramite per lasciare a chi mi legge la possibilità di comunicare col mio mondo interiore e i miei interessi.
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