Naomi Wolf, il mito della bellezza è una prigione o libertà?
A casa non manca mai uno specchio, quest’oggetto non desueto e banale, ci permette di vedere la nostra bellezza. Non passiamo neanche un secondo senza specchiarci, senza neanche farci una foto.
Lo specchio lo usiamo anche per notare imperfezioni e cambiamenti. La bellezza può essere una prigione o una libertà?
Il mito della bellezza di Naomi Wolf pubblicato da edizioni Tlon è un testo che viene pubblicato in una nuova edizioni dopo tanti anni in Italia. si parla di un saggio pubblicato nella prima edizione italiana nel 1991, quindi Maura Gancitano e Jennifer Guerra nella sua prefazione, si chiedono se pubblicarlo dopo tanti anni fosse inattuale o datato, invece non lo è, per niente.
“Il mito della bellezza non riguarda soltanto gli effetti psicologici del continuo autovalutarsi, sorvegliarsi o conformarsi a un modello, ma più in profondità quanto queste azioni sottraggono alle donne le energie, già di per sé razionate dell’abitare lo spazio pubblico” (p. 9)
Il passaggio dalla vita domestica, reclusa in uno spazio privato, sostituisce a questo, il mito della bellezza femminile. Rigidi canoni alle quali le donne si devono conformare, quindi, Naomi Wolf, si chiede se le donne siano veramente libere. La bellezza femminile è un “controllo sociale”, il corpo femminile diventa uno spazio pubblico, e sottoposto allo sguardo degli altri.
“Gli uomini forti combattono per le belle donne, e le belle donne hanno più successo dal punto di vista della riproduzione. La bellezza femminile deve essere messa in relazione con la fertilità, e questo sistema, essendo basato sulla selezione sessuale, è inevitabile e immutabile.” (p. 21)
Per controllare lo stato della nostra bellezza, per trovare imperfezioni e cambiamenti, usiamo lo strumento dello specchio. Usiamo la televisione per osservare quali canoni bisogna perseguire, oggi è possibile guardare direttamente i social network, le influencer ci insegnano come bisogna fare per mantenere la bellezza, per avere un bel viso e un bel corpo. Per quale scopo conserviamo la nostra bellezza? per essere scelte, per ottenere un buon partner oppure lo facciamo per noi stesse?
Dice bene Naomi Wolf che la bellezza femminile è un sistema monetario, è un sistema che permette di mantenere intatta l’egemonia maschile. Se non siamo belle nessun uomo “combatte” per noi. Per far vacillare le insicurezze di una donna, l’uomo usa la bellezza della donna, o meglio controlla se la donna è appetibile ai suoi occhi, in caso contrario, deve rimediare a questo. L’egemonia maschile si concentra sul corpo femminile, perché questo rappresenta l’involucro per la riproduzione, e rappresenta specialmente il rafforzamento del suo status in società, vale a dire che l’uomo avendo a disposizione una bella donna, significa che è un uomo di successo.
Pensiamo a quante donne, tutte le donne del mondo, si concentrano a conservare la giovinezza per non essere sostituite da donne più giovani di loro, a come si sottopongono a strumenti di tortura per essere belle agli occhi dell’uomo e della società. Si stimola la bellezza e non la mente. Ma quando le donne hanno sia la bellezza e una mente fertile è appagante. Il mito della bellezza può essere una prigione. Decostruire l’immagine che la donna deve raggiungere attraverso la bellezza, è difficile da scardinare, poiché è rimasto così per tanto tempo introiettato dentro di noi.
È anche vero però che sottoporsi a sedute di bellezza può favorire un senso di libertà, ovvero allontanarsi dalla sfera domestica ed entrare nella sfera privata e intima per stare bene con noi stesse. Ci aveva pensato già Betty Friedan nella sua Mistica della femminilità a parlare dello spazio domestico in cui le donne dovevano rinchiudersi. Nel romanzo di Elena Ferrante I giorni dell’abbandono è presente uno scrutare sullo status di Olga, di donna abbandonata per una donna più giovane. In qualche modo cerca di trovare risposte in un altro uomo attraverso il corpo, per capire se la sua bellezza possieda ancora un suo fascino.
“Forse restavo bella anche se mio marito aveva appallottolato il sentimento della mia bellezza e l’aveva buttato nella pattumiera come carta che ha incartato tempo prima un regalo. Sì, potevo ancora rendere smanioso un uomo, ero una donna capace di far questo, non mi aveva guastato la fuga di Mario, in un altro letto, in un’altra carne” (Elena Ferrante, I giorni dell’abbandono)
Il mito della bellezza può essere una prigione ma anche libertà, poiché può rappresentare l’abbandono del ruolo di moglie e madre, e di essere solo Donna.
“La bellezza è uno dei compiti di una moglie e va eseguito soprattutto facendo in modo che gli uomini non se ne accorgano” (Maura Gancitano, Specchio delle mie brame)
Emilia Pietropaolo
Leggi anche: Il canone greco, la bellezza come armonia di corpo e anima