“Scrivi quando arrivi” quando la tecnologia è sinonimo di sicurezza
Una studentessa di Bologna di 22 anni, Samia Outia ha iniziato a distribuire nei pressi della facoltà di Giurisprudenza volantini con su scritto “Non ti senti sicura a tornare a casa? Neanche io” e sotto un contatto: @scriviquandoarrivi.
Un messaggio semplice ma significativo per la sicurezza: scrivi quando arrivi, ed è lo stesso nome dato ad un gruppo solidale di Whatsapp, partito da Bologna ma che si è ormai esteso in tutta italia, che funge da supporto con un semplice messaggio o una videochiamata di gruppo, per coloro che, per la maggiore studentesse fuori sede, tornano a casa da sole dopo un’uscita serale.
Samia decide di creare questo gruppo a seguito di tutti gli episodi di cronaca degli ultimi tempi: da Giulia Cecchettin ai casi di violenza, aumentati tra l’altro, degli ultimi tempi.
Se ci pensiamo è un’iniziativa molto semplice all’apparenza che al tempo stesso sta avendo un impatto significativo sulla sicurezza, e sul benessere delle persone; sì perché le richieste di iscrizione alla chat arrivano in primis da tutte le donne, di ogni età, ma anche da persone appartenenti alla comunità queer.
“Scrivi quando arrivi” è ormai diventato un fenomeno sociale che permette di farti sentire al sicuro sia in alcuni momenti della giornata ma soprattutto per chi rientra la sera dopo una giornata di lavoro o una serata di svago, senza avere il terrore di incontrare il fenomeno di turno che fa catcalling o nella peggiore dei casi che ti aggredisca.
Sebbene questo sia un punto a favore per la tecnologia usata per scopi intelligenti, non è certo una buona cosa per lo Stato italiano, perché ancora una volta abbiamo dovuto trovare una soluzione per difenderci da sole. Hollaback! il gruppo statunitense creato per raccogliere storie di molestie in strada – oggi diventato ormai un movimento internazionale – ha condotto uno studio in collaborazione con la Cornell University che rappresenta un’importante contributo sulla comprensione dell’impatto del catcalling sulla vita delle persone.
Secondo l’indagine svolta su 22 Paesi, viene dimostrato come in media lì 84% delle donne abbia subito molestie per strada per la prima volta tra gli 11 e i 17 anni.
Per i dati riguardanti l’Italia viene registrata la più alta percentuale, 88% nello specifico, di donne che decidono di cambiare strada del rientro a casa dopo aver subito episodi di catcalling.
È davvero frustrante dover ancora una volta difendersi da soli e affidarci a un gruppo WhatsApp per sentirci sicure mentre si torna a casa.
Un murales nella città di Bari recita “Quando esco, voglio sentirmi libera, non coraggiosa” questo sottolinea quanto spesso sia necessario trovare soluzioni attraverso l’autotutela. Il gruppo “Scrivimi quando arrivi” non sappiamo se sia la maniera giusta per difenderci ma è sicuramente ad oggi la migliore in confronto a quelle che ha azionato lo Stato italiano, risultate ad oggi molto spesso poco efficaci.
Dovremmo educarci verso un futuro in cui non sarà necessario ricorrere alla tecnologia per difenderci e imparare a prendere sul serio le paure delle donne. Dovremmo evitare di minimizzare il catcalling come un semplice complimento quando in realtà è una molestia, e non dovremmo sentirci giudicate a pensarla così: troppo spesso, le risposte a questa preoccupazione sono superficiali, con frasi del tipo “e fattela una risata”. Il catcalling può essere il preludio di comportamenti più minacciosi come pedinamenti, aggressioni e violenze fisiche.
È fondamentale sentirci libere anziché coraggiose. Lavorando insieme magari un giorno, indipendentemente dal genere, potremmo attraversare le strade in sicurezza, senza dover temere per la propria incolumità.
Arianna D’Angelo
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