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Tra passato e presente: raccontami di te

Questa volta ho scomodato mia nonna: Dolores Tedoldi, classe 1935, con la sua storia da raccontare, tra passato e presente. La sua generazione è stata testimone di un secolo in cui cambiamenti e innovazioni sono stati tra i più veloci di sempre. 

Ha deciso di prendere parte a questa intervista con il suo solito entusiasmo e curiosità, aprendosi completamente.

Abbiamo intrapreso un viaggio tra i ricordi, rievocando il mondo di ieri per capire cosa è cambiato nel tempo, fino ad oggi. Non è mancata una critica alla società attuale, il rapporto con l’amore, con la scuola, con i giovani, il ruolo della donna e le speranze per il futuro. 

Se potessi descriverti con un aggettivo, quale sceglieresti? 

«Romantica.»

Quali sono stati secondo te il decennio peggiore e quello migliore che hai vissuto?

«Il decennio peggiore è stato il 2010-2020, perché nel 2014 ho perso mio marito, mentre il migliore il 1960-1970, quando è nata mia figlia e ho vinto il concorso per diventare maestra di scuola elementare.»

Ero convinta avresti detto che il peggiore è stato quello della guerra… 

«Non proprio, perché ero bambina, e quando sei piccolo non hai coscienza del pericolo, come invece ha l’adulto. Da bambino segui la mamma e il papà, anche quando scappavamo di notte dai bombardamenti mi affidavo a loro. Tra il ’43 e il ’45 mio papà aveva sempre la bici pronta, con cuscini e coperte legati sulla canna, per nasconderci in campagna e dormire all’aperto, lontano dai ponti, dalle stazioni, dalle strade e dagli abitati; insomma dove non c’era niente da bombardare. Sapevo che era una brutta vita, ma non mi rendevo conto del pericolo di essere uccisa o ferita, non ci pensi da bambino. Sicuramente è stato il periodo più brutto per la mia mamma, che era consapevole di quello che rischiavamo.»

E cosa ne pensi della situazione politica attuale, delle guerre di oggi?

«Sono molto preoccupata perché trovo che nel mondo ci sia una gran voglia di fare la guerra da parte di tutti gli stati, che hanno ormai quasi tutti l’arma nucleare. Ai miei tempi l’atomica ce l’aveva solo l’America… sappiamo i danni che hanno fatto le atomiche, possibile che non se ne rendano conto?»

Quanto, secondo te, è cambiato il mondo da quando sei nata ad oggi? 

«È cambiato moltissimo, soprattutto nei valori sociali. Prima veniva premiata e valorizzata l’onestà, l’impegno nel lavoro, la serietà, l’amore verso i propri cari, mentre adesso la società è centrata sui soldi. Sembra che più ne hai e più sei importante e rispettato, ma i soldi non hanno un valore concreto, reale.»

Come hai vissuto, da persona anziana, la pandemia da Covid-19? Quali sono state le risorse che hai scoperto di avere? 

«Ho vissuto il Covid con paura, ma non con disperazione. Sono stata molto attenta alle indicazioni che ci raccomandavano i medici, uscendo di casa pochissimo e ogni volta con guanti e mascherina, sempre attenta ad evitare contatti con le persone, lavando spesso le mani. Ho vissuto volentieri in casa, ho letto diversi libri, ho ascoltato molta musica classica e tutti i giorni usavo la cyclette per tenermi attiva. Seguivo sempre le trasmissioni in TV per sapere cosa succedeva nel mondo, fino a quanto abbiamo superato la pandemia.
Le risorse che ho scoperto di avere in realtà le ho sempre avute… secondo me gli anziani hanno vissuto il Covid “meglio” dei giovani, che amano uscire. È stato un sacrificio minore per noi. Quando hai una certa età hai già vissuto dei problemi, sai come gestirti e sei abituato ai sacrifici, noi siamo sopravvissuti alla guerra…»

Com’è cambiata, secondo te, la condizione della donna?

«È cambiata molto: secondo me è migliorata perché finalmente il suo ruolo non è più solo di moglie e madre, ma anche di lavoratrice che contribuisce al progresso sociale.»

Tu hai vissuto in un’epoca di grandi conquiste per le donne, cosa ricordi in particolare?

«La prima cosa che ricordo è stato il diritto di voto alle donne: era il referendum del 2 giugno del 1946, e si sceglieva tra monarchia e repubblica. La mattina che si sono aperte le urne, la mia mamma aveva indossato l’abito più bello (quello delle feste); era emozionata e agitata per paura di sbagliare, visto che a 42 anni era la prima volta che era chiamata al voto. Continuava a dire: “e se sbaglio a votare cosa succede?” – ride –, ma erano tutte agitate. Quel giorno le donne si sono sentite importanti quanto gli uomini, per la prima volta avevano un privilegio che fino a quel momento era solo maschile… Da lì in poi, abbiamo conquistato più diritti, la possibilità di studiare e mantenerci col lavoro. Abbiamo lottato per il diritto al divorzio e all’aborto, raccogliendo firme nei referendum.»

Hai mai protestato o scioperato per qualcosa?

«Sì, ho fatto tutti gli scioperi possibili! Ritenevo giuste le rivendicazioni sui diritti dei lavoratori e sugli stipendi adeguati. E quando, finalmente, abbiamo ottenuto quanto richiesto, mi sono sentita orgogliosa per aver dato il mio personale contributo… Però mi sono anche arrabbiata: chi non aveva mai scioperato si è trovato tutti i diritti per cui avevamo lottato, ma senza rimetterci lo stipendio! – ride –.»

Torniamo un po’ all’argomento “donna”: quale era il lavoro più diffuso per le donne di una volta? E quello tabù?

«Ai miei tempi le donne lavoravano nelle fabbriche come operaie o impiegate. Le donne che avevano studiato erano maestre negli asili o alle elementari, più raramente alle medie e alle superiori. Però ancora non era permesso alle donne di diventare ingegnere, medico o pilota di aereo… erano lavori permessi solo agli uomini.»

Sei stata una maestra elementare. Com’era la tua scuola quando l’hai frequentata da studentessa? 

«Ho fatto solo la quinta elementare senza guerra, nella mia scuola, che era stata requisita dai tedeschi e trasformata in ospedale militare. La guerra è finita il 25 aprile e, a Cremona, già il 1° ottobre le scuole erano funzionanti, come se non fossero state ospedali poco prima. La scuola era seria e il governo ci teneva, l’interesse non era quello di comandare e arricchirsi come ora, ma era quello di istruire la popolazione. Da scolara delle elementari ricordo i quaderni con la copertina nera e le carte delle pagine che assorbiva tanto l’inchiostro. Durante la guerra i quaderni erano pochi e i genitori ci raccomandavano di non sciupare le pagine. Scrivevo con il pennino da intingere nel calamaio con l’inchiostro. Alle medie, a guerra finita, ho usato la stilografica e tanto materiale di disegno, come i pastelli Giotto.»

Come ci si rapportava col sesso maschile una volta?…

«I nostri compagni e amici erano molto rispettosi, ci difendevano sempre e ci consolavano quando prendevamo un brutto voto… e noi ricambiavamo suggerendo alle interrogazioni! C’era rispetto e riguardo, gli uomini volevano fare bella figura con i genitori e la famiglia della ragazza. La guerra era appena finita e avevamo voglia di leggerezza…» 

… e come si corteggiava una donna?

«C’era molto rispetto: la donna veniva corteggiata con riguardo e attenzione.  Il nonno, quando ci siamo conosciuti, mi apriva sempre la porta al caffè Motta, a Milano. I ragazzi erano proprio galanti…» 

Allora dimmi, nonna: facendo un resoconto della tua storia d’amore, secondo te, cosa è cambiato tra l’amore di una volta e quello attuale? E il tuo matrimonio com’è stato?

«Il cambiamento è stato enorme: l’uomo corteggiava con pazienza e con discrezione. Oggi invece è tutto più veloce, ma è anche più veloce arrivare alla separazione, al divorzio e… al femminicidio.
Io sono stata fortunata: ho sposato l’unico uomo che ho amato, dopo quattro anni di fidanzamento. Insieme abbiamo vissuto 50 anni e abbiamo sempre lavorato. Da pensionati abbiamo viaggiato molto, in Italia e all’estero. Da quasi dieci anni sono vedova e il nonno mi manca sempre tanto.»

Secondo te, oggi è più difficile fare il genitore rispetto a quando sei diventata mamma tu, negli anni ’60?

«Sì, oggi è più difficile fare il genitore perché la società è cambiata, e con lei sono cambiati i valori. Oggi sei importante se ti arricchisci, non importa come, se in modo onesto o disonesto… oggi contano solo i soldi, per la maggior parte della gente (per fortuna non per tutti).
Sono cambiati anche i genitori, sembrano poco attenti ai figli, concedono molto, li difendono troppo e non insegnano loro il rispetto per le cose, per la natura, per gli animali e per le persone.»

Ora parliamo un po’ di te come nonna: raccontaci del tuo rapporto con tua nipote.

«Io ho solo una nipote: è intelligente, buona, colta e bella e io le voglio un gran bene. L’ho tanto desiderata e quando è nata, per l’emozione e la gioia, sono svenuta! Abitiamo vicine, ci vediamo molto spesso e ci sentiamo sempre per telefono. Insieme trascorriamo le feste, i compleanni e le sue lauree (tra poco ci sarà la quarta!). Quando mi telefona, subito mi domanda: “come stai nonna?”, perché io sono anziana e lei si preoccupa per la mia salute, perché mi vuole bene. E io sono felice.»

Che consiglio daresti ai giovani d’oggi?

«È una domanda molto difficile – sospira –. Il mio consiglio è di avere tanto rispetto per tutto e per tutti, verso per il paese dove vivi, verso la natura, gli animali, le piante… Soprattutto di rispettare la natura perché, anche quando fa dei danni ed è nemica, fa il suo corso, è così che si comporta la Terra… La Terra è proprio una meraviglia, il nostro pianeta è così bello…
E poi rispettare i genitori, gli amici, le ragazze, perché se rispetti gli altri hai il diritto di chiedere rispetto. Di essere un esempio, è questo che conta.» 

Elisabetta Carbone

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Foto di Elisabetta Carbone

Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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