Henrik Stangerup, l’uomo che voleva essere colpevole: la creazione dell’Uomo Nuovo
La fondazione della colpa nella volontà del soggetto e la stessa elaborazione del concetto di volontà sono, opera della teologia cristiana
G. Agamben, Karman. Breve trattato sull’azione, la colpa e il gesto
Nel 2023 presso la casa editrice Iperborea esce con la postfazione di Antony Burgess e con la traduzione di Anna Cambieri, l’uomo che voleva essere colpevole (Manden der ville være skyldig, 1989) dello scrittore danese Henrik Stangerup.
Ci troviamo a Copenaghen, in seguito a una lite, Torben uno scrittore, uccide sua moglie.
Il romanzo si apre con l’immagine di Torben, che si trova a uno degli incontri per contrastare l’aggressività, quello che lui chiama “AA” (Anti-aggressività). Niente di strano nel prendere parte a questi incontri, sappiamo che non sono “obbligatori”: “ma la pressione esercitata dagli altri inquilini del caseggiato li aveva a poco a poco convinti a partecipare, non tanto per il timore di restare isolati, ma piuttosto per le possibili ritorsioni che avrebbe potuto subire Jesper a scuola o al centro ricreativo.” (1)
In questa frase è possibile osservare qual è il mondo, nel quale vive Torben e la sua famiglia, un mondo sorvegliato, controllato dallo Stato. Sin dalla prima pagina ci addentriamo nell’incubo di Torben e di suo figlio Jesper, per non aggiungere che la citazione del filosofo danese Søren Kierkegaard, ci svela il tema principale del romanzo, vale a dire quello della colpa. Un marito uccide la moglie, e questo, in una Danimarca dallo stile “Grande Fratello”, non è un motivo per andare in prigione. Di più, il suo delitto non gli viene riconosciuto, o meglio, a Torben, non gli viene data la possibilità di venire considerato come colpevole.
“Chi governava? Come? Perché? Nessuno lo sapeva. Una a una le prigioni sparivano. Ma era una società socialista? Capitalista? Nessuno discuteva più di ideologia.” (31)
In questo romanzo distopico di Henrik Stangerup possiamo osservare come l’individuo, l’uomo in sé, cerchi e di farsi riconoscere come colpevole per l’atto commesso, ma in una società prettamente sorvegliata e controllata dallo Stato con lo scopo di creare “l’uomo nuovo”, non gli permette di discutere della possibilità di espiare la sua colpa. Non ho citato a caso “l’uomo nuovo” (un chiaro riferimento al romanzo di Aldous Huxley, Brave the new world, 1932) è quello che la società danese aspira a concepire, a creare. “Non è facile creare l’Uomo Nuovo.” (119)
L’umanità subisce quello che è un esperimento sociale, direi a grandi linee, andato a buon fine, poiché il mondo di Torben, quello che lui conosceva prima, il mondo fatto di dibattiti e idee, sono andate perdute.
“Libero, pensò, sei libero! Tutti vogliono il tuo bene, hanno capito che eri fuori di te quando hai commesso il delitto. La società desidera che tu torni a essere una persona equilibrata e felice.” (45)
Non c’è posto nella società per persone socialmente e culturalmente depresse, bisogna assaporare la felicità e la leggerezza, e riguardo a questo punto, bisogna osservare la questione della lettura. Al bando tutti i libri che trattano dell’individualismo, al bando tutti i fumetti e le favole come quelle di Hans Christensen.
“Credeva davvero che non sapesse che i suoi personaggi erano dei depressi, alla disperata ricerca di esperienze vitali, bloccati nei loro sentimenti egocentrici, idiosincratici, affetti da un morboso attaccamento alla madre e da un forte complesso di fuga dalla realtà?” (26)
Il controllo sociale sulla popolazione danese va a soffermarsi anche sulla questione della maternità. Per creare l’Uomo Nuovo c’è bisogno di controllare la discendenza. La fuga dalla realtà non è consentita. Come non è consentito collocare, etichettare la donna in un ruolo passivo, usando come definizione la parola casalinga. Se è uno riscontro positivo in questo caso far emergere la figura femminile in un ruolo attivo, in questo caso, non lo è, poiché il suo genere va anche a scontrarsi con la possibilità di comprendere se le è possibile diventare madre.
“Il governo aveva presentato due proposte di legge strettamente connesse: la prima era il bando assoluto di tutti i libri per l’infanzia e di tutti i cartoni animati che contenessero ogni minimo accenno alla violenza, al mito dell’eroe solitario […] associata a questa era un’altra proposta, molto più radicale che prevedeva test obbligatori per tutti gli aspiranti genitori: test di psicologia dello sviluppo elementare e prove pratiche di convivenza, e di contatto con i bambini […] e inoltre, test sullo stato fisico e psichico degli interessati. Solo chi otteneva nelle prove un risultato superiore alla media, avrebbe avuto diritto al ‘certificato di procreazione’.“(18)
La maternità diventa motivo di controllo, il corpo fisico è connesso non alla sfera privata ma a quella pubblica, ciò potrebbe portarci anche alla questione dell’aborto, motivo di dibattito in questi giorni. Il corpo è strettamente connesso alla sfera pubblica, alla sfera sociale e non a quella privata.
Paola Borgna nel suo saggio sociologia del corpo citando Foucault dice: “nell’incessante sforzo di autocostruzione, il corpo-progetto-privato è un corpo almeno in parte affrancato dai meccanismi del biopotere: utilizzato, trasformato e perfezionato.” (65)
Ritornando al tema principale del romanzo di Stangerup, ossia quello della colpa, in questa ottica di controllo a 360 gradi, a partire dai mezzi di comunicazione come la parola, va ad affrancarsi la possibilità di concepire e accettare il concetto di colpa. Questo concetto è strettamente connesso alla questione religiosa che, come dice Anthony Burgess nella postfazione: “nessuno vorrà credere che voglia rimanere restare legato a un’arcaica tradizione giudaico-cristiana e che non sia che un essere colpevole che aspira alla punizione e che preferirebbe subire l’inorridita riprovazione del mondo piuttosto che la sua istituzionalizzata comprensione”.
La concezione della colpa gli viene sottratto al protagonista Torben, gli viene, invece, concesso di migliorare il suo stato fisico e psichico, nel luogo centro degli esperimenti, chiamato Parco della felicità. La colpa, in questo caso, gli viene negata, gli viene negata la possibilità di assumersi la propria responsabilità, ancora, gli viene tolta la possibilità di riconoscersi nel suo atto.
Di questo concetto ne parla Pelagio in una disputa con Agostino, è ancora evidente questa questione, nel saggio di Giorgio Agamben Karman, breve trattato sull’azione, la colpa e il gesto (2017)
“La colpa viene, cioè, spostata dall’azione al soggetto, che, se ha agito sciente e volente, ne porta l’intera responsabilità.” (G. Agamben, 2017, 18)
Nel caso di Torben (protagonista) la possibilità di portare “l’intera responsabilità” dell’azione commessa, vale a dire il delitto, gli viene sottratta, gli viene data, però, la possibilità di redimersi e di rientrare in società, mediante la figura dello psichiatra che lo aiuta a fargli cancellare il concetto arcaico della colpa, e di accettare, invece, la possibilità che il delitto sia stato un incidente, per questo motivo viene, detto in un modo brutale, assolto.
Emilia Pietropaolo
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