Il dilemma dell’aragosta
Siamo tutti delle aragoste, in fondo. Tutti dobbiamo lasciare il nostro guscio per smettere di fortificarci in certezze che si trasformano in gabbie.
Esporci al rischio, mettendoci a nudo, creando uno spazio di riflessione e di elaborazione, di dialogo e di confronto: su questo si basa il “dilemma dell’aragosta”. Questi siamo noi.
Tutti sappiamo com’è fatta un’aragosta e, verosimilmente, tutti noi ne abbiamo vista almeno una nella vita. Ma quello che in pochi sanno è quanto essa sia un essere straordinario.
L’aragosta è un animale molle, delicato, che per sopravvivere ha bisogno di una corazza. Nasce nuda, ma la natura le dona un guscio cucito su misura. Col tempo, il corpo molle cresce, ma la corazza no. L’aragosta si sviluppa, il guscio no. La sua unica protezione verso i pericoli del mondo esterno diventa l’unica causa del suo dolore. La sua corazza diventa la sua prigione. Quando l’aragosta cresce, la corazza diventa scomoda, stretta, e l’animale si sente a disagio. Soffre.
Allora come fa a svilupparsi? Come fa a sopravvivere?
Si nasconde sotto le rocce, per proteggersi dai predatori, si disfa del suo guscio, torna nuda, e ne crea uno nuovo, su misura per la sua nuova forma. Ben presto, però, anche questa nuova corazza sarà stretta e limitante, costringendola a nascondersi tra le rocce e ripetere il ciclo più e più volte. Per tutta la vita.
Lo stimolo per la crescita dell’aragosta è il dolore, è il disagio.
Quello che dobbiamo imparare ad amare di questo straordinario animale è che i periodi di stress, di dolore, di disagio, di sofferenza sono i periodi che segnano la nostra crescita. Sono i veri periodi germinativi. E se facciamo tesoro delle nostre avversità saremo capaci di sfruttarle per crescere. Possiamo osservare il disagio da una prospettiva insolita: quella della crescita, della felicità e del benessere.
Se abbandoniamo la nostra corazza per esporci al rischio, la vulnerabilità diventa un punto di forza, produce un cambiamento e diventa il terreno fertile per la ricostruzione di una nuova vita.
Solo quando il guscio è limitante ci spogliamo da esso, lo gettiamo via, e restiamo nudi e fragili per costruire una nuova casa adatta alle nostre esigenze. Si è fragili e vulnerabili perché si è umani, non perché si è difettosi. È la nostra forza, che ci arricchisce.
Ma quando l’aragosta getta via il suo guscio perde anche il suo ruolo, la sua identità: riconosciamo l’aragosta proprio grazie a quel guscio, a quell’abito che la rende distinguibile dal resto degli animali. Perdere la corazza significa perdere uno status per produrne uno nuovo. In modo riflessivo, condiviso, comunicativo. Relazionale.
Siamo tutti vulnerabili, dobbiamo accettarlo. È solo nella nostra vulnerabilità che siamo tutti possibili di cambiamento. Cambiamento come opportunità, e non come condanna.
Elisabetta Carbone
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