La distopia nel mondo svedese: L’Unità di Ninni Holmqvist, un palazzo di vetro e degli esperimenti per costruire una società su misura delle famiglie
La scelta e il controllo sul proprio corpo scompaiono nella via della sorveglianza da parte dello Stato, ridotto ad essere un oggetto di esperimento per costruire una società migliore sulla geometria delle famiglie.
Dorrit, cinquantenne, scrittrice e single, entra nella “montagna di vetro” per diventare una dispensabile, sta a significare che il suo corpo diventa oggetto di esperimento per quelli che hanno una prole in una società ben costruita per loro.
Si è già visto come il controllo e la sorveglianza continua sui corpi biologici e non da parte dello Stato, diventi uno strumento efficace per ottenere una società costruita sulla normatività, cioè sulla tradizione di costruire una famiglia e di rendere coloro che non desiderano una famiglia, oggetto di esperimento, senza possibilità di scegliere.
È il caso del romanzo di Henrik Stangerup, L’uomo che voleva essere colpevole, ma è anche l’esempio della scrittrice canadese Margaret Atwood con il suo celebre romanzo distopico The Handmaid’s Tale (il racconto dell’ancella) diventato anche una serie, che mette in evidenza come il corpo femminile rappresenta oggetto di “esperimento” da parte dei terzi, mi riferisco alle figure di queste ancelle che diventano “donne di” per dare l’esempio della maternità.
C’è di più: le non-donne rappresentate dal colore cromatico grigio vengono escluse dalla società. Per vedere come lo strumento del controllo sia un metodo efficace in una società “totalitaria” e costituita dall’egemonia dell’uomo sulle donne, e su come il corpo femminile diventi solo un modo per assecondare le voglie di un uomo e di dare al mondo un erede, è il caso di parlare della scrittrice e attrice slovena Berta Boeta Bojetu con il suo romanzo edito da Voland e tradotto da Patrizia Raveggi, Filio non è a casa (2023). Un romanzo che parla di come le donne vengano ridotte a essere un semplice nome sulla “lista”, un semplice corpo da sfruttare e violentare di notte, al buio e senza possibilità di scorgere il proprio violentatore. C’è di più i figli di queste donne vengono prelevate dagli uomini all’età di sette anni per diventare a loro volta degli uomini che comandano e controllano le donne.
“Corre voce che la qualità dei suoi ovuli fosse paragonabile a quella di una venticinquenne e che venisse considerata una vera e propria donna d’acciaio […]” (141)
Nel palazzo di Vetro un luogo che sembra il ritratto della felicità, all’apparenza, è invece il luogo dove gli esseri umani con delle passioni e dei nomi, perdono ogni vitalità a causa degli esperimenti. Entrano nell’Unità persone che in società non hanno contribuito a dare il meglio di sé stessi, che si sono concentrati solo su sé stessi, quindi egocentrismo, individualismo, elementi che possiamo trovare anche nel romanzo di Henrik Stangerup. Dorrit, in seguito all’aborto e al troncamento con il suo fidanzato, entra nell’Unità pensando di dare il proprio contributo alla società attraverso il suo corpo. Chiunque entri nell’Unità non ne esce vivo, specialmente quando i soggetti stessi decidono di procedere con la “donazione finale”, ossia con la prelevazione degli organi per donarli a chi ha una famiglia in società. È una realtà sotterranea, di vetro, in cui tutto è immutabile e lontano dal tempo e dallo spazio, esiste solo la possibilità di scorgere il giorno e la notte, ma non il cambiamento delle stagioni.
“Rabbrividii involontariamente al solo pensiero di vivere in un ambiente del genere, circondata ovunque da famiglie che si allargavano rumorosamente intorno, alla stregua di un impasto che si lievitando si espandeva a spese di coloro che invece erano soli e non volevano e non potevano essere ascoltati né diffondersi in maniera analoga e che per questo diventavano invisibili, e venivano annientati, trasformati in un nulla”. (175)
Nel momento in cui nell’Unità inizi a diventare un esperimento buono, una vera e propria dispensabile, specialmente quando rimani incinta, come nel caso di Dorrit, il feto va a rappresentare ancora prima di nascere, motivo di donazione per una famiglia che ne ha bisogno. Motivo di scelta, di scegliere tra far adottare il bambino o di farlo diventare un feto da trapiantare. Perché Dorrit viene messa davanti a questa possibilità di scelta?
In questo caso bisogna andare a scavare nel mondo della disabilità. La disabilità non va a rappresentare nella società creata ad hoc di Ninni Holmqvist, una risorsa ma come qualcosa che va a contrastare l’idea della “normalità”, in una società che ragiona per norme. Ci ha pensato Davis Lennard a parlare della disabilità e della normatività nella società americana.
“I figli che nascono prematuramente o con qualche forma di disabilità intellettiva o psichica o che si sviluppano la schizofrenia in età adulta costano alla società enormi di quantità di denaro e se fosse possibile ridurre al minimo il numero totale di lesioni e di complicazioni si tratterebbe di un risparmio enorme. A quanto pare, ci aggiriamo sui duecento bambini all’anno che rappresentano una perdita netta per la società”. (189)
L’Unità di Ninni Holmqvist indaga sul corpo che diventa oggetto da sorvegliare per migliorare le condizioni della società, evitando anche di far nascere bambini con disabilità e con ogni forma di problemi mentali. Infatti nell’Unità quando un soggetto diventa oggetto di esperimento, se fallisce quest’ultimo, viene eliminato attraverso la “donazione finale”, perché non più dispensabile per la società. Holmqvist parla della società che trae vantaggio dalle persone che non vogliono dare un proprio contributo alla società mettendo al mondo figli, e per questo, devono donare il proprio contributo in un altro modo, vale a dire con la donazione dei loro organi e diventando una cavia per ogni tipo di esperimento, che può essere fisico o psicologico.
“I cambiamenti che si stavano verificando. Il numero di cinquantenni e sessantenni senza figli era diminuito drasticamente e adesso i dispensabili venivano prelevati da gruppi appartenenti a professioni che prima erano del tutto tutelate […]”. (229)
Emilia Pietropaolo
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