La scoperta di Ciro, il dinosauro di Benevento
Sapevate che il primo fossile di un dinosauro italiano è stato scoperto a Benevento circa 44 anni fa?
La storia ha dell’incredibile. Il suo scopritore, Giovanni Todesco, non si accorse subito della straordinaria scoperta e il piccolo Ciro – questo il nome scelto per il dinosauro – è rimasto conservato nella sua cantina insieme ad altre lastre calcaree per ben 13 anni.
Il giorno in cui Todesco, appassionato di fossili, si recò nei pressi di una cava a Pietraroja, in provincia di Benevento, fu il 22 novembre 1980. Una data qualunque all’apparenza, ma importante alla luce dei fatti che seguirono, dato che il giorno dopo l’Irpinia fu devastata dal famoso terremoto e mezza Italia scossa dalla paura e dai danni. Todesco decise di tornare con la sua famiglia a Verona, sua città natale, dove conservò le lastre di calcare ittiolitico che giorni prima aveva raccolto alla cava senza analizzarle con molta attenzione.
I resti, risalenti al Cretaceo Inferiore, furono finalmente analizzati soltanto 13 anni dopo e i risultati accolti con enorme entusiasmo dalla comunità scientifica. Giorgio Teruzzi, il conservatore della sezione paleontologica del Museo di Storia Naturale di Milano dell’epoca, capì di trovarsi tra le mani il primo fossile di dinosauro italiano.
Battezzato Ciro dalla stampa, l’esemplare appartiene alla specie Scipionyx samniticus, “l’artiglio di Scipione del Sannio”. Dalle sue dimensioni ridotte – circa 50 centimetri – dalle strane proporzioni del corpo e dalla presenza di una fontanella nel cranio ancora aperta, si suppone che sia morto poco dopo essere fuoriuscito dal suo uovo e che, una volta cresciuto, avrebbe forse raggiunto i due metri di altezza.
Ciò che rende Ciro straordinario però è il suo stato di conservazione. Mentre degli altri dinosauri scoperti ci restano per lo più le ossa, di Ciro si sono conservati anche gli organi interni: i tessuti molli – legamenti, cartilagini, fasci muscolari e vasi sanguigni – sono in parte visibili a occhio nudo e con la luce ultravioletta è possibile vedere altri resti organici. Inoltre, parte dell’esofago e della trachea, tracce di fegato e l’intero intestino presentano alcuni elementi chimici utilizzati in vita dall’organismo, e nel suo tubo digerente si sono fossilizzati i resti delle prede che aveva ingerito prima di morire, un dettaglio incredibilmente utile poiché ci comunica che l’esemplare si nutriva sia di piccoli rettili sia di pesci.
Ma cosa ha ucciso il piccolo Ciro? Ovviamente non sappiamo nulla se non che dev’essere stato un evento improvviso, dato che non è nemmeno riuscito a digerire il suo ultimo pasto. Il suo corpo piumato – ebbene sì, dalle analisi risulta che fosse un animale a sangue caldo dotato di piume – dev’essere stato trascinato sul fondo della laguna che 110 milioni di anni fa si trovava in corrispondenza dell’odierna Italia, dove i suoi organi furono riempiti delle acque minerali che ne hanno impedito la completa decomposizione.
Una felice circostanza per noi, che possiamo oggi ammirarne i resti nella sede della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Benevento e Caserta, nell’ex convento di San Felice su Viale Atlantici. Ospite d’onore di un affascinante percorso multimediale sulla paleontologia e sul sito di Pietraroja, Ciro non smette di catturare i cuori e l’attenzione dei paleontologi e non solo.
Claudia Moschetti
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