E se Lady Whistledown vivesse in Italia nel 2024?
I modi in cui si può intendere questa domanda sono molteplici. Potremmo far riferimento a cosa penserebbe la protagonista della terza stagione dell’amata serie Bridgerton, della moda contemporanea, di come si vive l’amore ai nostri tempi o anche del mutato senso del pudore.
C’è un motivo però, se nel titolo non abbiamo menzionato Penelope Featherington, bensì il suo nom de plume, Lady Whistledown: ciò di cui vogliamo parlare è l’amore per la scrittura.
La scrittura per Lady Whistledown: potere, autorevolezza e successo
Per Penelope Featherington scrivere non è un’attività da svolgere, ma un luogo da abitare. Uno spazio in cui si sente padrona di sé, in cui la sua arguzia e la sua lingua sfacciata e maliziosa non devono nascondersi nell’ombra degli angoli di una sala da ballo. Di questa stanza immaginaria, il suo vero essere occupa il centro ben illuminato e la sua voce, solitamente sommessa, può, invece, cominciare a gridare. In un’appassionata confessione a Eloise Bridgerton, Penelope ammette infatti che scrivere le ha permesso di far sentire la sua voce, quando si sentiva soffocare nella sua stessa abitazione. Le parole della ragazza suonano tanto ardenti quanto il fuoco del camino che illumina la scena, soprattutto quando, per descrivere all’amica ritrovata cosa rappresenta davvero Il Whistledown, ha esclamato: «è potere!». Di fatto, per l’alta società londinese, la scrittrice misteriosa non è fonte di pettegolezzi dalla dubbia veridicità, adatti solo per animare le chiacchiere nell’ora del tè: agli occhi del ton, la penna di Lady Whistledown ha autorevolezza, rispetto e riconosciuto successo.
Il potere della parola scritta in Italia nel 2024
Qual è, invece, il modo in cui si guarda alla scrittura oggi, nel 2024, e soprattutto in Italia? In un tempo lontano dai primi decenni dell’Ottocento, in cui è ambientata Bridgerton, e in un contesto che non ha le fattezze romantiche e fantastiche di una serie TV.
Diciamo innanzitutto che, di Lady Whistledown, nell’Italia del 2024, per fortuna, ce ne sono ancora tante. Sono tutte quelle persone che credono ancora nel potere della parola, sia essa giornalistica o letteraria, di agire concretamente sul mondo per apportarvi cambiamenti. Che la scrittura, in ogni sua forma, rappresenti ancora un mezzo potente, non v’è infatti dubbio: quella giornalistica, per esempio, ha la capacità d’indirizzare l’opinione pubblica, plasmare le narrazioni che compongono l’immaginario collettivo della nostra società e, se fatta nel rispetto dei principi deontologici della professione, difendere la democrazia garantendo pluralismo e imparzialità dell’informazione.
La scrittura letteraria, dal suo canto, non è da meno: se la parola giornalistica descrive il mondo che ci circonda, quella letteraria lo riempie di senso e significati. Anche spazi, tempi e personaggi di finzione possono infatti modificare la percezione che abbiamo della realtà e della vita che in essa conduciamo. Insomma, se Lady Whistledown fosse catapultata nell’Italia del 2024, non avrebbe difficoltà a riconoscere ancora, nella parola scritta, la potenza che le ha sempre attribuito. Cosa ne penserebbe, però, di come oggi la società percepisce chi scrive per professione? Quasi sicuramente, ciò che la stupirebbe (o deluderebbe), sarebbe il mancato riconoscimento sociale di dignità e rispetto verso chi è desideroso di fare della scrittura la sua professione, oltre alla difficoltà nel trarne successo anche economico.
L’attuale crisi economica del settore giornalistico
Cominciamo proprio da quest’ultimo punto. Per la brillante Penelope, scrivere non era solo un’attività creativa animata da impulsi e ideali. Come giusto che fosse, era anche un’attività piuttosto redditizia. Un riscontro economico che, alla protagonista della terza stagione, non serviva solo da un punto di vista pratico, per finanziare il proprio business. Le serviva anche per rinforzare il senso d’indipendenza che la rendeva abbastanza sicura di sé per continuare a scrivere, nonostante le conseguenze talvolta spiacevoli. Nell’Italia del 2024, invece, il lavoro di un giornalista è sempre più precario e sottopagato.
Irpimedia, periodico indipendente di giornalismo d’inchiesta, ha realizzato un’indagine distribuendo un questionario anonimo a 558 giornalisti, da cui è emerso che i principali due fattori che impattano sul benessere psicologico della categoria sono infatti, nell’ordine, i compensi troppo bassi e la precarietà lavorativa. È ormai nota la crisi che da tempo ha investito il settore, ancora diviso tra il precedente modello economico basato sulle copie cartacee (che oramai vendono molto poco) e quello nuovo delle testate online che, con difficoltà, tentano di guadagnare con la pubblicità mirata.
La scarsa considerazione sociale riservata oggi ai giornalisti: tra verità e pregiudizi
Oggi, un giornalista non può nemmeno sopperire a tale mancanza con una buona reputazione sociale. Un tempo, la narrazione diffusa era quella del giornalista quale paladino della verità, alla ricerca d’ingiustizie e soprusi da scovare in difesa del bene comune. Oggi invece, tra i fattori di stress individuati da Irpimedia, che impattano sulla categoria, c’è anche quello dell’essere immersi in un ambiente giudicante: spesso canzonati, insultati e messi alla gogna, i giornalisti sono anche considerati sempre meno autorevoli.
Dai risultati dell’ Edelman Trust Barometer 2024, rapporto che annualmente misura la fiducia a livello globale verso imprese, governi, media (tradizionali e social) e ONG, emerge infatti che gli italiani hanno più fiducia nelle aziende che in governi e giornalisti. È chiaro che una buona fetta di colpa debba attribuirsi ai giornalisti stessi (almeno alcuni), che hanno accantonato il rispetto verso i principi etici e i valori professionali della deontologia giornalistica: parliamo dei tanti accertati casi di disinformazione, mancata verifica della veridicità delle fonti e dei fatti divulgati, titoli sensazionalistici acchiappa like, che poi hanno poco o nulla a che vedere col contenuto dell’articolo. È anche vero, però, che oggi si è instillato un pregiudizio verso questa categoria professionale, che etichetta qualsiasi giornalista come poco credibile, a prescindere dai suoi tentativi di agire secondo le regole deontologiche.
Così, il singolo meritevole, finisce per scomparire in questa categorizzazione e pagare le conseguenze di errori che non ha commesso. Insomma, un quadro che senza dubbio non sarebbe gradito alla nostra amata Lady Whistledown che, intendiamoci, non era indubbiamente avvezza a ricevere solo complimenti, ma agli occhi della società britannica godeva di un’autorevolezza tale, da spingere la regina d’Inghilterra a indire una caccia per scoprire l’identità della scrittrice. Se Il Whistledown avesse avuto poco credito, tanti sforzi sarebbero stati risparmiati.
Conclusioni: cosa farebbe Lady Whistledown?
Gentili lettori, se avete trovato questo articolo insolito, per aver mescolato la realtà contemporanea con il mondo fantastico di una serie TV, avete ragione, ma c’è un motivo ben preciso. Spesso infatti, calarci in una dimensione idilliaca e fittizia, ci permette d’interrogarci su quali sarebbero i nostri reali desideri, se non dovessimo considerare le complicazioni e le problematiche della vita reale.
L’intento era proprio quello di rivolgersi a tutte quelle Lady Whistledown che ancora, nonostante il quadro sopra descritto, si rifiutano di scrivere solo sul diario segreto nel cassetto. A tutti coloro che, proprio come Penelope, sono appassionati e ambiscono a far sentire al mondo la propria voce, ricevendo la giusta considerazione sociale e compenso economico. In parole povere, a tutti coloro che ancora sognano di vivere di scrittura.
Cosa farebbe, quindi, Lady Whistledown, se vivesse in Italia nel 2024? Sceglierebbe di deporre la penna, rinunciando al suo social pamphlet (magari limitandosi a scrivere lettere per Colin), oppure, esattamente come nella terza stagione della serie TV, vi rimarrebbe aggrappata con tenacia e coraggio, nonostante le mille peripezie?
Simona Settembrini
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