Le parole del padre di Filippo Turetta tra critiche e difese
È stata intercettata ed inserita nel fascicolo processuale la conversazione tra Filippo Turetta e suo padre, risalente allo scorso 3 dicembre nella struttura detentiva di Montorio.
La conversazione è stata inserita nel fascicolo processuale in attesa del processo di Filippo Turetta che si aprirà in Corte D’Assise a Venezia il 23 settembre.
Gli investigatori hanno deciso di tenere in considerazione tale conversazione perché c’è il dubbio che Turetta non abbia ancora detto tutta la verità, dato che egli stesso ha affermato di temere di non riuscire a dire tutto ai suoi legali (G. Caruso e M. Cornaviera).
“Non sei uno che ammazza le persone. Non sei un terrorista. Devi farti forza, non sei l’unico, ci sono parecchi altri. Non ti devi dare colpe perché tu non potevi controllarti. Ci sono altri 200 femminicidi, tu avrai i permessi per uscire e lavorare, ti devi laureare”
Queste sono alcune delle parole pronunciate dal padre di Turetta durante il colloquio.
Parole che hanno sollevato grandi polemiche, dividendo il popolo italiano in due gruppi: chi difende il padre e chi lo critica.
Con questo articolo non intendo schierarmi né da una parte né dall’altra.
Difendere a spada tratta il padre di Turetta o linciarlo mediaticamente sono due azioni opposte che non portano a nulla.
Ognuno ha diritto alla propria opinione, questo è vero sempre; è vero anche che bisogna saperla esprimere in modo critico, dopo una lunga riflessione.
Le parole di Nicola Turetta sono da condannare, e su questo non dovrebbe esserci alcun dubbio.
Il femminicidio è un gesto crudele, spietato e violento che non può avere alcuna giustificazione MAI.
È aberrante anche solo pensare di uccidere qualcuno durante un “momento di debolezza”, come l’ha chiamato Nicola Turetta.
Filippo Turetta non ha avuto un momento di debolezza.
Filippo Turetta ha manipolato psicologicamente la sua vittima per tenerla in qualche modo sempre legata a sé.
Per mesi, per anni forse, ha limitato la libertà di Giulia, cercando di esercitare un forte controllo su di lei e sulla sua vita.
Filippo Turetta ha approfittato della bontà e dell’empatia di Giulia per non farla mai allontanare troppo, nonostante lei volesse finalmente sentirsi libera dal modo in cui la opprimeva anche dopo la fine della loro relazione.
Giulia voleva trovare un modo di essergli amica, di non lasciarlo solo. Giulia aveva paura per lui, gli voleva bene. È per questo che quel 13 novembre Giulia è uscita con lui; credeva di uscire con un amico. Perché era buona, Giulia.
Filippo Turetta quel 13 novembre ha ucciso Giulia. Incurante del terrore e del dolore che le stava procurando, l’ha ammazzata.
Piano piano Filippo Turetta a Giulia ha tolto tutto: la libertà, la serenità, i sogni, le passioni, l’amore, l’affetto. La vita, infine.
Dunque, Nicola Turetta non avrebbe mai dovuto pronunciare quelle parole. È un’ulteriore violenza verso Giulia e la sua famiglia.
Ma perché ha deciso di dire proprio questo?
“Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse”
Queste è ciò che Nicola Turetta ha detto durante un’intervista condotta dal Corriere della Sera.
Trovarsi nella posizione dei genitori di Filippo Turetta deve essere terribile. Lo stesso Gino Cecchettin, il papà di Giulia, tempo fa espresse solidarietà nei loro confronti.
Scoprire che tuo figlio è un assassino, saperlo in carcere e avere ogni giorno il terrore che possa togliersi la vita è un’esperienza dolorosa che ti squarcia il cuore in due, anche se sai che è giusto che riceva la sua condanna.
In nessun modo il dolore del padre giustifica le parole che ha rivolto al figlio, ma temo che la gogna mediatica sia inutile e deleteria.
È chiaro che il suo intento fosse quello di offrire conforto al figlio in carcere; un impulso normale in questa situazione ma è la modalità ad essere stata scorretta.
Sarebbe stato saggio scegliere altre parole per far sentire a Filippo la sua presenza, al contempo condannando il suo gesto.
Gli avrebbe potuto dire che sarà sempre suo figlio e che non lo abbandonerà, e che gli sarà vicino mentre lui sconterà la pena che merita per aver brutalmente tolto la vita a Giulia.
Le parole di Nicola Turetta invece sono come dei coltelli in una ferita che è e sarà per sempre fresca per la famiglia di Giulia. Sembra quasi che nelle sue parole il femminicidio sia normalizzato, come se il figlio avesse dei “colleghi” che hanno fatto la stessa cosa e perciò lui non deve preoccuparsi, deve pensare a laurearsi, tutto questo poi se lo lascerà alle spalle.
Per quanto queste parole possano essere state false e di circostanza, questo tipo di messaggio assolutamente NON deve mai essere comunicato, né a Filippo né a nessun altro.
I femminicidi rappresentano la violenza più brutale ed estrema contro le donne, e di solito sono l’ultimo atto violento preceduto da tantissimi altri, come anche nel caso di Giulia.
Per citare Elena Cecchettin, la sorella di Giulia: “Filippo non è un mostro, è un figlio sano della società patriarcale”.
Tutti gli uomini che si arrogano il diritto di perpetrare qualsiasi tipo di violenza sulle donne non devono essere chiamati mostri, perché è un termine alienante che quasi porta ad una giustificazione dei loro comportamenti tossici.
Non sono mostri, pazzi, diabolici. Sono figli sani del patriarcato; è per questo che la nostra società necessita una rivoluzione socioculturale che deve partire dagli insegnamenti che vengono impartiti agli uomini fin da quando sono bambini.
È durante l’infanzia che dovrebbe iniziare l’educazione alla non-violenza.
Per smantellare la cultura dello stupro ed i femminicidi bisogna partire dalle radici.
Le misure preventive sono essenziali ma purtroppo non bastano.
Perché una donna può fare tutto ciò che le viene detto di fare per proteggersi. Raggiunge l’indipendenza economica, denuncia eventuali abusi subìti…e poi un uomo la ammazza lo stesso. Semplicemente perché crede di avere il diritto di farlo.
Bisogna inasprire le pene destinate agli uomini che partecipano alla cultura della violenza e proteggere le vittime che troppo, troppo spesso denunciano e vivono nella paura, perché la protezione che ricevono è minima o inesistente. Perché è l’intero sistema ad essere fallace.
Ma la vera rivoluzione deve essere attuata attraverso l’educazione.
Fin dall’infanzia bisogna educare gli uomini alla non-violenza, a regolare in modo sano le proprie emozioni, all’uguaglianza di genere, a non mercificare la figura femminile.
Questo tipo di educazione dovrebbe avvenire ovunque: nelle scuole, in famiglia e nel quotidiano, sul posto di lavoro.
Bisogna condannare ogni forma di violenza e sì, mi rivolgo ai maschi: se un vostro amico mostra segni di violenza verso una ragazza, che si tratti di una “battuta” o di un gesto più forte, non restate zitti. Non ridete, non siate complici. Arrabbiatevi, correggete i vostri amici, spiegategli dove sbagliano. L’educazione parte anche da voi.
Numero Help Line violenza e stalking: 1522
Se siete vittime di qualsiasi tipo di abuso e violenza, CHIAMATE. Ci sarà sempre qualcuno disposto ad aiutarvi. Non è troppo tardi. Amatevi, proteggetevi.
In attesa della rivoluzione.
In memoria di Giulia Cecchettin
qui il link per acquistare il libro scritto dal padre
qui il link del suo account Instagram per vedere i suoi disegni
nessuna vittima deve rimanere solo una statistica
Marcella Cacciapuoti
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