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Meteore Fest: Lo Spazio della Cultura Queer a Milano

La cultura queer torna a essere protagonista con il Meteore Fest, il festival organizzato da TWM Factory di Roma e BASE Milano, che mira a creare un ponte tra le due città.

L’evento è iniziato a Roma dal 21 Maggio al 15 Giugno 2024, e seguire a Milano dal 21 giugno al 29 giugno 2024.

Il Festival propone di liberare l’arte contemporanea dagli schemi macisti, binari ed elitari, accogliendo realtà e persone queer che, attraverso la propria arte, ci offrono visioni talvolta oniriche e altre che interrogano il presente, analizzandolo e cercando di liberarlo. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con alcuni artisti al BASE Milano, che ci hanno raccontato non solo le loro opere esposte, ma soprattutto le emozioni e le visioni che le animano.

Fossili in Rivolta: Un futuro in sconvolgimento con Giorgio Maria Cornelio

Siamo qui con l’autore del libro Fossili in Rivolta, Giorgio Maria Cornelio. Intanto, perché questo titolo?

Perché il titolo Fossili in Rivolta sembra una contraddizione. Cosa c’entra il passato immobilizzato con la rivolta?! Invece, spesso sono i frammenti dei corpi estinti, abbandonati, dei saperi che abbiamo lasciato dietro di noi a permetterci di sconvolgere l’idea del futuro. Quindi c’è un legame molto stretto tra il fossile e il futuro in rivolta.

Questo componimento nasce da una ricerca interiore oppure è più una cosa rapida? Come hai detto, c’è questa dicotomia?

Questa è una raccolta in cui ci sono tanti saggi che si legano insieme da una ricerca che parte dal mio corpo e dal mio modo di attraversare il mondo. Io chiamo questo modo “storto” oppure “contro natura”, proprio perché serve uno sguardo contro natura per negare la norma che solitamente viene imposta.

Per superare questa norma, cosa consigli, non solo ai tuoi lettori, ma anche ad altre persone?

Di adottare uno sguardo storto, di mischiarsi con ciò che uno ha intorno senza formare gerarchie assolute, di riaccendere la percezione. Nel libro parlo di una “fioritura percettiva”, cioè far fiorire lo sguardo nuovamente e non addormentarsi nel quotidiano.

Ottimo. Quindi tu hai un approccio realistico oppure pensi che sia una tua utopia questa?

Secondo me, ogni scrittura in realtà allarga l’orizzonte del mondo. Quindi non c’è utopia che non sia autenticamente già qui con noi. Io sono realista nel senso che chiedo dal mondo tutto l’impossibile.

E cosa auspichi che rimanga al lettore alla fine di questo libro?

Un senso sicuramente non di disincanto ma di reincantamento verso quanto abbiamo attorno, ma anche un senso di rivolta, non di quiete, non di pace interiore assoluta, ma piuttosto di riaccensione, di immaginazione aperta. Questo è il compito della rivolta, che ha a che fare con il modo in cui guardiamo il mondo, che non deve essere più arreso ma deve salvare ciò che abbiamo dimenticato o lasciato dietro di noi.

Questa rivolta secondo te è più un gesto singolo o ha bisogno di una comunità?

Ha bisogno di una comunità che però non ha un’identità precisa, è una comunità rivolta anche contro se stessa, si reinventa giorno dopo giorno. È una comunità che lega tutti perché siamo tutti corpi sempre in pericolo di essere schiacciati, di essere dimenticati. Lo stigma riguarda tutti e tutte, e così anche la rivolta. Quindi la comunità che dobbiamo fare non può avere definizione certa, perché ogni definizione certa è una forma di fascismo.

Arcadia: Spazi Salvifici per l’Anima Queer con Roberto Amoroso

Arcadia, così hai chiamato il tuo spazio con le installazioni artistiche. Perché? 

Premetto che l’ho presa un po’ come una sfida, perché mi sono confrontato soprattutto con degli spazi reali, spazi che in questo caso vengono utilizzati quotidianamente per un uso comune del BASE. 

Mi è stato affidato il bancone e una parte esterna dei banner, e dunque Arcadia come si chiamava in antichità una sorta di spazio dove vivevano le arti. Ho immaginato tutto come uno spazio salvifico per l’anima, per l’anima queer in questo caso. All’interno di esso ci sono queste creature che ci abitano.

La mia pratica è stata quella – che, poi, rientra nel mio tipo di lavoro il quale spesso oscilla tra digitale e analogico –  di tipo ipertestuale, utilizzando immagini che spesso sono di testate giornalistiche o di social network, o spesso anche di contesti espressivi queer, e le mixo con immagini antiche, riferimenti e simboli legati all’antichità per creare una sorta di nuova mitologia.

Spiegaci il procedimento di come hai realizzato queste figure allegoriche?

Ho creato delle figure allegoriche con riferimenti molto espliciti sulla tematica. La figura femminile, in questo caso, tende ad assumere fattezze più maschili attraverso elementi che contraddistinguono la mascolinità tossica, come l’uniforme, la scarpa classica, elementi tipo mostrine. Allo stesso tempo, il mio indirizzo nei confronti della donna è quello di non imitare l’uomo in modo “pericoloso e tossico”, ma proporre nuove visioni di autoritarismo non più vincolate a questo tipo di immagine. Come si denota nella zona centrale c’è una figura allegorica maschile ma incinta, quasi per sottolineare un contrasto con questa lotta che si sta facendo nei confronti delle famiglie queer, o comunque di persone che desiderano adottare un bambino o anche generare in modo differente.

E l’ultima figura?

L’ultima figura allegorica è associata più che altro a un’immagine di un uomo tutt’altro che virile inteso in modo classico. Ho cercato di fondere tutto questo con immagini antiche perché il mio obiettivo è anche quello di creare una nuova mitologia, un nuovo tipo di racconto. Internamente, ho cercato di sviluppare uno spazio che generasse un confronto con i dogmi, e quindi ho scelto la tematica della famosa costola di Adamo. Dal mio punto di vista, questi dogmi andrebbero smantellati e narrati nuovamente, adattandoli alle nostre esigenze attuali. Come se finalmente fossero venute fuori altre soggettività, ecco, che mi sembra più appropriato chiamarle così. 

La tua arte mostra dei richiami a Partenope, alla mitologia che permea tutta la cultura di Napoli…

Tutto il mio lavoro è generato da questo tipo di DNA culturale. Sebbene non sia mirato specificamente, ho sempre desiderato confrontarmi con il passato della nostra terra. Sto cercando di sviluppare il mio linguaggio artistico per evitare che cada nel cliché, considerando che spesso la nostra terra è rappresentata in modo stereotipato. Il mio obiettivo è ampliare la visione sulla cultura napoletana e far emergere un’interpretazione che vada oltre i cliché sociali, affinché possa essere integrata nella società contemporanea come parte del tessuto urbano quotidiano, anziché rimanere confinata in uno spazio di difesa o di nicchia.

Le gabbie, quindi, che vediamo nelle tue opere trasmettono un senso di apertura che tu vuoi comunicare?

Le gabbie presenti nelle mie opere sono simboliche della nostra condizione di partenza, ma il mio intento è trasmettere un messaggio di apertura. Questo specifico lavoro intitolato Al di là dei dogmi si propone di esplorare l’identità in modo globale. Nonostante il mio approccio visivo sia diretto, il progetto si presta a diversi livelli di lettura, con un particolare focus sul confronto con la vanità. Cerco di analizzare l’identità in maniera ampia, andando oltre le categorie circoscritte, anche nel contesto queer. Un esempio è la mia reinterpretazione della narrativa antica, mescolata con immagini moderne, come la costola di Adamo, che diventa un emblema non tanto di origine, ma di rottura con il passato.

Parti da Napoli hai detto, che ti ha aperto le porte, ma Milano è stata una scelta obbligata o semplicemente un aprirsi ad altre realtà?

Napoli è stata una culla per me, ma Milano è stata una necessità di confronto su un territorio più ampio. Penso che per un artista la possibilità di viaggiare e confrontarsi con altre dinamiche sia necessaria per maturare il proprio percorso artistico. Sono partito come artista digitale, quando 10 anni fa era particolarmente difficile lavorare con l’arte digitale. Oggi è già più sdoganato e questo ha segnato un ritorno al passato per me. Milano offre un contesto di confronto su un territorio ancora più vasto, il che non significa che Napoli non abbia valore, ma è cruciale per un artista esporsi a diverse dinamiche per crescere. Sono profondamente legato a Napoli e ho già avuto esperienze nel territorio, con progetti futuri anche nel casertano l’anno prossimo. Non ho mai posto limiti geografici al mio percorso artistico, e ogni luogo contribuisce alla mia crescita artistica.

Cosa chiederesti al panorama dell’arte napoletano? La nostra Testata giornalistica si occupa molto di unire l’arte e i diritti sociali e questo è per noi un grande esempio di crescita. Hai delle richieste in merito?

Farei un discorso proprio generalista. Chiedo a questo paese di dare uno spazio diverso all’arte perché è una possibilità di potenziare quello che è un discorso turistico molto importante per il nostro paese, ma con un tipo di turismo un po’ più sofisticato al di fuori del passante, al di fuori del cibo, al di fuori di tutta una serie di dinamiche che conosciamo bene. Quindi la mia richiesta a Napoli, come a tutte le città d’Italia e tutto il panorama italiano, è quella di darci più spazio e di…creare un tessuto sociale ed economico per sostenere gli artisti

Arianna D’Angelo

Fotografie di Gabriele Puglisi

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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