Girls: ritratto di una generazione
Quattro amiche, New York: pensare a Sex and the City è inevitabile.
La serie culto HBO è infatti citata nel pilot di Girls, e Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte fanno capolino su un poster appeso nella stanza di una delle protagoniste.
Eppure, nonostante qualche altra somiglianza che possiamo notare tra i due prodotti, le ragazze di Girls non sono le già donne di Sex and the City, e a detta di Lena Dunham, la creatrice della serie – ispirata dalle sue esperienze post college nella grande mela – i personaggi da lei ideati colmano quel vuoto televisivo che mancava nella narrazione di generazioni tra il già citato Sex and the City e un altro acclamato e iconico show, Gossip Girl.
Emblematico, in questo senso, il primo episodio, in cui Lena Dunham traccia subitaneamente e chiaramente la linea che seguirà nelle sei stagioni della serie: conosciamo Hannah e i suoi genitori, i quali l’hanno invitata a cena per comunicarle di voler smettere di darle soldi. Da aspirante scrittrice che vorrebbe mantenersi nell’appartamento condiviso a New York con la sua migliore amica Marnie, Hannah prova a fargli capire quanto le sia necessario il loro sostegno economico ed evidenzia l’impossibilità di trovare un lavoro dovendo dedicare il suo tempo a scrivere per diventare “la voce della sua generazione”. Questa ironia e soprattutto lo sfacciato narcisismo di Hannah – e di tutte le sue amiche – saranno un leitmotiv della serie.
Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è proprio questo che rende Girls una serie televisiva speciale e iniziatrice: prima del 2013 era difficile trovare sul piccolo schermo dei protagonisti e soprattutto delle protagoniste così perfettamente imperfette, reali e spesso sgradevoli. Girls ci ha dato il permesso di mostrarci anche immature, sfatte, egocentriche: ha cambiato per sempre il modo di narrare il mondo femminile – potremmo dire dunque che Lena Dunham ha aperto la strada a tante antieroine, le quali avrebbero probabilmente impiegato più tempo per emergere. Figlia di Girls è per esempio – lampante – la protagonista del meraviglioso Fleabag.
Girls, proprio come i suoi personaggi, non è un prodotto perfetto, ma la scrittura brillante, la sua ironia e il suo ritrarre in modo così veritiero tutto ciò che concerne la sfera vitale di quattro donne fanno chiudere gli occhi su qualche difetto nello sviluppo della trama.
Lena Dunham – la quale, tra l’altro, recita nei panni di Hannah – non ha avuto paura di mostrare tutte le meschinità che, consciamente e non, possono insinuarsi nei nostri rapporti con gli altri. Non ha avuto paura di raccontare donne che fanno scelte sbagliate, egoistiche, che si sforzano per costruire qualcosa, falliscono, riprovano, falliscono ancora. Non ha avuto paura nemmeno di mostrare spesso il suo corpo nudo, in quegli anni – molto più di oggi – non conforme allo standard di bellezza occidentale (e ciò, non ci sorprende, le costò molte critiche negative).
Il ritorno nel luogo natale amato e odiato, tutto ciò che offre invece la metropoli scelta per costruirsi un futuro la quale sembra però non volerci davvero, la rottura con i primi amori, le prime convivenze, i lavori diversi da quelli sognati, le malattie sessualmente trasmissibili, il disturbo ossessivo compulsivo, le complicate amicizie femminili: Girls ci racconta la vita post college dei Millenials a New York, ma descrive perfettamente l’età delle incertezze – sa parlare a tutti i ragazzi e le ragazze poco più che ventenni che si ritrovano catapultati nella vita vera, per la prima volta soli, per la prima volta, forse, persi.
Giulia Gennarelli
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