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Nudismo, bikini, trikini: la prova costume dalla preistoria ad oggi

La prova costume è quella cosa che proprio no.

Forse non nella preistoria, ma certamente da quando i canoni estetici sono stati stabiliti e da quando esistono delle superfici riflettenti– e, credetemi, è molto prima di quanto ognuno di noi abbia mai osato sperare – verso febbraio e marzo l’animo del frequentatore di spiagge e piscine medio ha sempre iniziato a fissare la propria immagine riflessa allo specchio con un certo disappunto.

Sì, anche i palestrati e le influencer (o il loro corrispettivo storico nelle varie ere).

L’idea del costume da indossare per celare o accentuare punti forti e punti deboli ha sempre piagato menti e cuori di bagnanti e spiaggianti. Ma come hanno risolto il problema del costume giusto nelle varie epoche?

Come mio solito, sono stata ambiziosa nell’intitolare questo articolo. La preistoria, almeno fino ad un certo punto, è stata meravigliosa – non perché si moriva di vecchiaia a 30 anni, ammesso che ci si arrivasse – ma perché attività quotidiane e non potevano essere svolte sempre indossando gli stessi due outfit: la propria pelle e quella di un altro animale. Niente eleganza, niente stratificazione sociale in base al look. Nei secoli, invece, la creazione del vestiario è diventata anche questione identificativa ed identitaria. Io, nella preistoria, ci avrei vissuto benissimo. Fuck the fashion system! Ahimè, sono nata nel 1988 e donna, dunque non c’era possibilità alcuna che uscissi immune dalla malattia dell’armadio sempre pieno. Società dei consumi, che tu sia dannata!

Dicevo, che spesso alcuni fenomeni si originano in un tempo molto più remoto di quanto siamo educati a credere. Un esempio rappresentativo di ciò è quello del mito del due pezzi, a noi meglio conosciuto come bikini. Il mosaico delle Donne in costume da bagno conservato nel complesso romano della Villa Romana del Casale ad Enna ci mostra due giovani donne che giocano sulla spiaggia, come se stessero a Miseno nel 2010. Il due pezzi, dunque, non era stato introdotto a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50, ma era di uso comunque in tempi non sospetti, in una società forse più culturalmente progredita della nostra.

Da quel momento di scosciata libertà in poi, il buio. Per gran parte della storia occidentale, almeno fino al 1800, la pratica della balneazione in mare era alquanto rara. A Parigi, che all’epoca vantava il titolo di città delle grandi invenzioni e novità, intorno alla fine del 1700 si diffonde la moda del bagno e si usufruisce dei molteplici luoghi naturali a disposizione per godere del relax e del refrigerio offerto da fiumi, laghi e coste della Normandia. I costumi da bagno, tuttavia, non avevano nulla di rilassante o di fresco : mantelli appuntati al collo, vestiti da città leggeri e chiari, poi scarpe, calze, pantofole da mare, bustini, cappellini a iosa. Per carità, tutto molto elegante e composto, ma a quel punto non era più comodo un bagno a casa propria?

I costumi degli anni ’20 sono finalmente più succinti, prendere il sole è diventato finalmente un piacere, un must della stagione estiva e non più da evitare per sembrare plebei. Il pallore vittoriano passa di moda, almeno in gran parte dell’Europa e dei paesi occidentali. Le gonnelline di taffeta con la cintura ai lati o i costumi da nuoto in jersey aderenti e senza maniche, accoppiati a shorts e culotte, coprono corpi abbronzati e sottili.

I veri cambiamenti iniziano ad avvenire nel 1930, con l’introduzione del lastex aderente, un tessuto elastico che rende la balneazione un piacere invece che un tormento. Il costume diventa più simile al binomio maschile, con culotte e canottiera legata al collo, di seta o cotone e imperativamente coordinata con nastri per capelli, che troviamo corti o legati.

Nel 1946, viene introdotto lo scandalosissimo bikini, dallo stilista svizzero Louis Reard in collaborazione con il sarto francese Jacques Heim. Il lancio avviene nella vera city of blinding lights : Parigi. Ci vorrà l’avvento dei roaring sixties per poter rendere il bikini un piacevole ospite e non un imbucato troppo chiassoso sulle spiagge italiane ed europee. Le signore degli anni ’50, formose e provocanti, indossano i costumi rigidi fascianti e interi, per sottolineare le loro forme ma rimanendo sobrie ed eleganti.

Gli anni ’60 e ’70 aprono la pista alla varietà, al gusto e alla scelta più disparata: una progressiva riduzione delle dimensioni dà spazio ai triangolini, ai costumi alla brasiliana, ai tanga, agli sgambatissimi costumi degli anni ’80 (ora tornati in grande auge) e persino a forme più contemporanee come il trikini, un costume a metà tra l’intero e il due pezzi. Certo, con tutta questa libertà capita anche di imbattersi in invenzioni di dubbio gusto, come il trikini maschile, o lo swimming sock, ma che vogliamo farci? Non tutte le ciambelle escono con il buco. In quei casi, la preistoria appare quanto mai vicina.

Tutto questo parlare di spiaggia e costumi ha scatenato in me una insaziabile voglia di mare (e di comprare un costume nuovo).

Buona estate a tutti!

Sveva Di Palma

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Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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