Sole e ombre. L’estate dei poeti
Qual è il vostro poeta preferito? Quale il romanziere, il drammaturgo, il regista? E com’è la sua estate?
È brillante e gloriosa? Fatta di gite, picnic e frutta profumata. O forse è una strada sterrata, bruciata e polverosa?
L’estate poetica ha infinite sfumature e si connette a una miriade di scenari disparati.
Per esempio, Verga.
L’estate siciliana di Vita dei campi (1880) e di Novelle rusticane (1883) è arida e infuocata. “Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto il volo dei grilli” troviamo i contadini che mietono il grano del curato o i giovani con la malaria che mondano gli ulivi, per pochi soldi.
L’estate dei poveri contadini è connessa a lavori duri e faticosi, alla gola secca, al sudore sulla fronte. Ma i “sassi infuocati delle viottole” e “l’Etna nebbioso” diventano anche testimoni di impeti, inquietudini e vicende turbolente, che prendono forma nella quiete bollente del pomeriggio, “in quell’ora fra vespero e nona”.
L’estate è ancora connessa a indomabili, bollenti spiriti nel mondo di Nabokov, in cui la calura e le brezze carezzano la follia (sì, mi riferisco a Lolita) ma anche diventano insopportabilmente comiche quando fanno da sfondo a gite in barca o vacanze, in cui lo scarto improvviso tra la bellezza dell’innamoramento e il ritorno alla realtà ci ripropone l’estate sudaticcia e afosa di Re, Donna, Fante.
Ma l’estate poetica ha infinite sfumature.
Con Fitzgerald e Woolf, l’estate è la chiave di volta che sostiene il presente e il passato.
In The Great Gatsby, in un’estate bucolica ha luogo l’incontro con Daisy e sempre d’estate si crea il momento propizio per ritrovarla: “assieme alla luce del sole e al gran tripudio di foglie che crescevano sugli alberi […] ebbi quella nota convinzione che la vita ricominciasse ancora una volta con l’estate”. Quasi che d’estate si sollevasse perfino l’incombenza del tempo che scorre, per ritrovarsi in un’estate ideale cristallizzata.
Per Woolf d’estate avviene il tentativo, frustrato, di ritorno al ricordo. In To the lighthouse l’estate è ventosa, malinconica, sa di conchiglie e salsedine: le finestre aperte danno sempre su un paesaggio inafferrabile.
Questa malinconia, queste conchiglie, sono chiaramente affini agli ossi di seppia, al “male di vivere” di Montale.
Lo scetticismo verso ogni cosa “altra”, angelica o ideale, e la caduta verso la realtà nuda e cruda coincidono con il sole alto dell’estate: la poesia è un modo di rappresentare questa verità tutta illuminata a mezzogiorno, senza zone d’ombra.
Gli oggetti comuni, le banderuole e i ramarri compaiono come “il cannone di mezzodì”, scoccando con precisione in mezzo a parole semplici e piane: l’estate è il momento della chiarezza, dell’illuminazione e della rivelazione, mentre si segue “una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
Molto più espressionista è l’estate leopardiana, che è vespertina e macchiata di colori soffusi come pennellate.
Mentre la notte è “dolce e chiara” e le trame sono segnate del noto, dolce pessimismo, Leopardi dipinge figurine distanti, colorate “di rose e di viole”, che si affaccendano sereni con un “lieto romore” che appare lontano al poeta e al lettore.
L’estate di Leopardi è un’estate che non capiamo, che non riusciamo a cogliere. È solitaria e colma di consapevolezze che il lettore non ha, ma che il poeta tenta di suggerire con un estremo atto salvifico.
Ma l’estate suggerisce anche opere più impressioniste, vagamente misteriose e allusive come Il gelsomino notturno del Pascoli, o più semplicemente rigogliose e piene, come nel Madrigale dannunziano.
Ma è l’Alfieri che ci dà la massima più chiara e diretta: “l’estate è la mia stagion favorita; e tanto più mi si confà, quanto più eccessiva riesce”.
Maria Ascolese
Vedi anche: Because the night belongs to writers