Educhiamo(ci) alla pace: i docenti precari in piazza per una scuola più giusta
“Tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. In questo mondo, si educa alla competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà alla cooperazione e a offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando alla pace”.
Maria Montessori
Avevo queste parole in mente la mattina del primo settembre, a Piazza Dante, insieme a colleghi, colleghe, e le loro famiglie, ai loro bimbi e ai loro amici che erano venuti alla manifestazione organizzata dall’Associazione Nazionale Docenti per i Diritti dei Lavoratori.
Non riuscivo a togliermi queste parole dalla testa, perché pensavo a quanto sia difficile educare alla pace quando si vive in un paese in cui il sistema scolastico non fa altro che promuovere competizione e divisione tra quegli stessi docenti a cui viene chiesto di formare i giovani alla collaborazione, all’inclusione e alla solidarietà.
Vogliono che educhiamo alla pace, ma come possiamo farlo se non siamo in pace neanche tra di noi? Ci costringono a vivere in una competizione costante, perché lavorare a scuola significa partecipare a una gara a chi accumula più punti in un anno per ottenere un posto migliore in graduatoria. È così che lavorare a scuola diventa un privilegio e non un diritto.
Pensiamo all’ultimo concorso PNRR, quello senza graduatorie, dove ci sono dieci o undici posti per classe di concorso e dove o si vince o si è fuori. E non è una questione di meritocrazia: anche ottenendo un punteggio altissimo si rischia di rimanere precari, perché i posti messi a bando sono meno di quelli realmente disponibili.
Di interventi per “risolvere il problema del precariato nelle scuole” ce ne sono stati molti, negli ultimi anni, ma di fatto i governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che aumentare le disuguaglianze e perpetuare un sistema che alimenta il precariato e la competizione, piuttosto che la stabilità e la cooperazione.
Lavorare a scuola non è alla portata di tutti: non è una questione di capacità, non è una questione di competenza. Non basta essere preparatissimi nella propria materia e aver studiato metodologie didattiche, psicologia dell’insegnamento e nuove tecnologie. Non basta, perché ci vogliono soldi da investire e ogni anno che passa questi soldi diventano sempre di più. Ad oggi, dopo aver superato brillantemente due o tre prove di concorso, i docenti dovranno spendere migliaia di euro in corsi abilitanti ed esami finali.
E questo solo se si rientra nei pochi, pochissimi posti messi a bando. Per gli idonei, quelli che hanno superato le prove, anche brillantemente, ma che per uno scarto di punti non sono rientrati nei posti disponibili, al momento non c’è nessuna speranza di ottenere il ruolo. E non solo: non possono neanche sapere a che punto della graduatoria si trovano, perché non sono state pubblicate. Ovviamente, la questione delle abilitazioni a pagamento è preoccupante, perché esclude da una professione chi non ha grandi possibilità economiche. C’è chi quei soldi ha dovuto metterli da parte con enormi difficoltà, tra un contratto a tempo determinato e l’altro, facendo enormi rinunce.
Il concorso PNRR, tra l’altro, ha bloccato le assunzioni da altri concorsi che erano stati fatti durante la pandemia e le cui graduatorie sono state dichiarate a esaurimento. Quella dello straordinario del 2020, ad esempio, è una storia assurda: chi ha superato le prove – che si sono tenute durante la pandemia di COVID in una situazione di emergenza sanitaria mondiale – è stato totalmente dimenticato, superato da nuovi concorsi. E l’ordinario 2020? Ci sono voluti tre anni per finire tutte le prove, tre anni in cui lavorare è stato più difficile che mai, con le scuole chiuse a causa del Covid e mille restrizioni. Era stato promesso un doppio canale di reclutamento per l’anno 2024/2025: i docenti che avevano superato le prove avrebbero dovuto essere assunti in coda ai vincitori del PNRR (e ci si chiede perché chi ha superato un concorso prima dovrebbe trovarsi in coda), ma questa promessa non è stata rispettata, nonostante ci siano posti disponibili che saranno occupati da contratti a tempo determinato. Nel frattempo, già si parla del bando di un secondo concorso PNRR, nonostante in molte regioni e per molte classi di concorso, le prove del primo ancora non siano concluse.
Questa è la storia degli ultimi anni di concorsi docenti in Italia. Tra i docenti che sono scesi in piazza il primo settembre c’era tanta rabbia, paura per il nuovo anno scolastico che sta per iniziare e dal quale temono di essere esclusi, frustrazione, senso di impotenza. Ma allo stesso tempo c’era una grande volontà di unire le forze, la speranza di riuscire, insieme, a cambiare le cose.
Sarebbe bello ripartire da qui, da una rieducazione collettiva alla pace, che a volte può voler dire alzare la voce e non restare in silenzio di fronte alle ingiustizie. Sarebbe bello che tutti imparassimo a non combattere solo le nostre battaglie, ma a dare una mano anche agli altri, ciascuno nelle proprie possibilità. Sarebbe bello imparare a stare dalla parte dei diritti di tutti, anche di quelli che non ci riguardano in prima persona, anche di quelli che abbiamo già ottenuto o che ci sono stati riconosciuti per nascita.
Sarebbe bello che nelle piazze, accanto ai docenti precari scendessero anche alunni e genitori, uniti nella richiesta di una scuola più giusta e dignitosa per tutti, perché il futuro dell’istruzione riguarda l’intera comunità. E sarebbe bello che chi riesce a entrare di ruolo, dopo anni di sacrifici, continui a stare dalla parte dei precari, continui a lottare affinché le difficoltà che ha affrontato non debbano essere affrontate anche dalle generazioni future. Perché forse non possiamo cambiare il mondo della scuola da oggi a domani, ma possiamo guardarci le spalle a vicenda, migliorandolo ogni giorno un pochino di più.
Nadia Rosato
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