Emergenza sanitaria in Palestina: come Israele uccide anche senza armi
Il 16 agosto, dopo 25 anni dall’eradicazione della poliomielite a Gaza, è stata rilevata in un bambino di 10 mesi.
Com’è possibile, vi starete chiedendo. Come fa un virus a ritornare 25 anni dopo?
È possibile. Ma procediamo con ordine.
Cos’è la poliomielite?
La poliomielite è una malattia infettiva derivante dal poliovirus.
È altamente contagiosa, soprattutto per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di acqua e cibi contaminati e attraverso la saliva emessa con i colpi di tosse e gli starnuti sia da soggetti malati che da portatori sani.
L’ISS, Istituto Superiore di Sanità, definisce la poliomielite come “grave malattia infettiva a carico del sistema nervoso centrale che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale”.
In parole più semplici, il virus colpisce le cellule del sistema nervoso in pochissimo tempo causando una paralisi parziale o totale. Spesso vengono colpiti per primi gli arti superiori ed inferiori per poi passare ai muscoli innervati dai nervi craniali, riducendo la capacità di linguaggio, di ingestione e deglutizione ed infine quella respiratoria.
La letteratura indica casi di poliomielite già in antichità egizia e romana.
Nel 1789 ne è stata fatta la prima descrizione clinica dal medico Michael Underwood, nel 1840 è stata riconosciuta ufficialmente come malattia da Heine e Medin e solo nel 1908 ne è stato identificato l’agente eziologico, ossia il poliovirus (che si divide in tipo 1 e tipo 2).
Nonostante, dunque, la malattia fosse attiva già da molto tempo, bisogna arrivare al secolo XIX per averne un’accurata descrizione ed i primi studi anatomici e neurologici, in seguito a molte epidemie diffusesi prima in Europa, poi negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo tra il 1880 ed oltre il 1910.
La corsa inarrestabile di questo virus ha generato un’altra corsa, quella verso il vaccino, che è arrivato nel 1950.
Grazie all’immensa e lunga campagna vaccinale si è poi giunti all’eradicazione globale della poliomielite, eccetto per Pakistan e Afghanistan dove, purtroppo, il virus è ancora endemico.
Perché la poliomielite è riapparsa in Palestina?
La poliomielite è riapparsa in Palestina perché, a causa delle pessime condizioni igienico-sanitarie, si è creato l’ambiente perfetto per la sua proliferazione.
Biologicamente il poliovirus appartiene al genere degli enterovirus, ossia virus che colonizzano la mucosa orofaringea ed intestinale; dopo aver attaccato l’apparato gastrointestinale, è molto comune che il virus si sposti ai motoneuroni causando una paralisi (di cui sopra).
I rifugi sovraffollati, la mancanza di immunità al virus a causa dell’assenza dei vaccini, la mancanza di acqua potabile e l’assenza di una rete addetta al corretto smaltimento dei rifiuti hanno generato l’ambiente perfetto per uno dei tre ceppi del poliovirus, la cui presenza era stata già segnalata nelle fognature della Striscia a luglio dall’Unicef.
È l’unica emergenza sanitaria in corso in Palestina?
NO.
In quasi 11 mesi di genocidio le emergenze sanitarie sono state e sono moltissime.
Da 11 mesi l’IDF, Israel Defence Forces, porta avanti un genocidio che ha tolto la vita a più di 35.000 persone; riporterei anche il numero dei feriti, ma sono così tanti che sta diventando sempre più complesso ricavare una stima precisa.
Finanziato da più paesi (tra cui anche alcuni occidentali) che proteggono il loro profitto economico a spese di un intero popolo, l’esercito militare israeliano ha distrutto tutte le abitazioni, tutte le scuole, ogni tipo di edificio e anche tutti gli ospedali.
È difficilissimo reperire farmaci, strumenti, risorse.
È difficile reperire anche medici e personale sanitario, poiché molti sono stati ammazzati; i pochi medici rimasti, poi, sono costretti ad operare in luoghi sporchi, tutto tranne che sterili e con risorse molto limitate e spesso inesistenti.
Molti medici ed infermieri partiti per Gaza, alcuni anche italiani con Medici Senza Frontiere, e poi rientrati, hanno rilasciato diverse interviste.
Ognuno ha raccontato la propria esperienza ma si scorge un comune denominatore: tutti hanno riportato che spesso gli attacchi sono precisi e soprattutto volti ai bambini, i quali arrivano nelle tende fungenti da ospedali improvvisati con i proiettili dritti nel cervello. Hanno confermato l’assenza di materiali e l’impossibilità di reperirli a causa dell’IDF che non solo blocca gli aiuti umanitari, ma li distrugge anche quelle poche volte che riescono a passare.
Di questo si vantano i soldati israeliani: della loro violenza dettagliatamente programmata, sempre performante, che non lascia margine di salvezza.
Un genocidio mediatico
Quest’angosciante distruzione sistematica è stata e continua ad essere al centro dell’occhio mediatico.
Si tratta del primo genocidio mediatico della storia, documentato non solo dalle vittime palestinesi e dai giornalisti ma perfino dagli stessi soldati israeliani. Circolano video e foto aberranti pubblicati da soldati israeliani su diversi canali social mentre stuprano le donne palestinesi, mentre gridano al potere di Israele dicendo di voler continuare ad ammazzare i palestinesi affinché non ne rimanga neanche uno; e ancora, sul social X, i soldati israeliani pubblicano foto di missili firmati col proprio nome e condividono pensieri estremamente violenti come “vanno ammazzati tutti i bambini”.
Il genocidio procede. Tutti guardano. Chi non ha tanto potere cerca di sensibilizzare, protesta per una Palestina libera, fa delle donazioni, parla dell’argomento, ha una ferita nel cuore che brucia.
Con l’eccezione di pochi, chi ha il concreto potere di fare qualcosa se ne sta zitto, il potere se lo tiene, si tiene i soldi e continua la propria vita ignorando di essere complice dello sterminio di un popolo, girando la faccia dall’altra parte per non guardare.
La violenza israeliana e la resistenza palestinese
Ciò che sta accadendo è uno sterminio.
Si tratta di pulizia etnica, della rimozione di un intero popolo che è fatto di persone, di storia, di tradizioni, di resistenza.
Sì, di resistenza, ma non parlo solo di adesso; il popolo palestinese resiste da anni, più di 75.
Dalla Nakba al genocidio attuale, la Palestina è stata brutalmente colonizzata da Israele.
Si tratta di un colonialismo di insediamento estremamente violento che per anni ha martoriato i territori della Palestina ed i suoi abitanti, privandoli sempre di più della loro libertà, dignità e identità.
Israele ha alimentato negli anni una vera e propria “cultura della guerra”, rifiutandosi di stabilire dei confini tra il proprio territorio e quello di un ipotetico stato palestinese nonostante le incriminazioni da parte dell’ONU, rivendicando il proprio diritto di possesso dell’intera Palestina avviando una serie di conflitti durante gli anni, iniziando dalla Nakba e continuando (es: la guerra dei sei giorni nel 1967) fino ad arrivare alle violenze attuali.
Come Israele uccide anche senza armi
L’IDF gioca con le vite dei palestinesi lanciando bombe e missili e sparando proiettili, ma la violenza armata e diretta non è l’unica modalità di cui si serve.
Israele usa la fame e le esigenze mediche dei civili palestinesi come uno strumento di guerra.
Scegliendo di limitare, sospendere o addirittura distruggere gli aiuti umanitari, l’IDF lascia consapevolmente morire i palestinesi di fame e di infezioni. Semina disperazione e morte anche in modo indiretto.
L’IDF blocca la fornitura di acqua pulita, cibo, carburante e materiale sanitario indispensabile.
Le persone non mangiano per giorni e bevono acqua sporca e contaminata, aumentando la probabilità di ammalarsi e se si ammalano è quasi certo che moriranno.
Ciò tocca in prima linea neonati e bambini piccoli, difatti dall’inizio del genocidio si è verificata “un’esplosione di morti nella popolazione pediatrica”, ha affermato il vicedirettore esecutivo dell’Unicef.
Israele continua a violare gli ordini vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja in merito all’invio di aiuti ai civili.
Sentendosi coperto dai paesi che lo appoggiano, Israele è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità; eppure, continua liberamente a perpetrare un genocidio.
Questa la dichiarazione stomachevole del ministro della Difesa Yoav Gallant risalente a febbraio 2024:
“Ho ordinato un assedio completo alla Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è chiuso. Stiamo combattendo gli animali umani e ci comportiamo di conseguenza”.
E ancora, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir:
“L’unica cosa che serve per entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo provenienti dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari”.
È difficile digerire che queste parole provengano da due esseri umani. D’altronde, è difficile digerire ogni secondo di questa situazione.
Il paradosso della campagna vaccinale
Dopo la conferma del ritorno della poliomielite a Gaza, l’OMS, Unicef e UNRWA hanno lanciato un appello per una tregua umanitaria. La risposta di Israele è stata continuare a bombardare la Striscia e distruggere l’ultima struttura medica attiva ancora in piedi, l’ospedale dei martiri di Al Aqsa.
Poi l’OMS ha raggiunto un accordo con Israele e con Hamas per delle “pause umanitarie” dai combattimenti a partire dal primo settembre; dunque, per otto ore al giorno (dalla mattina presto al primo pomeriggio) per circa due settimane non ci saranno attacchi per permettere ai medici di vaccinare circa 640.000 bambini al di sotto dei dieci anni.
È già accaduto che siano stati presi di mira i rifugi e gli operatori umanitari. Né i civili palestinesi né i medici volontari sanno se la tregua verrà davvero rispettata.
Israele ha accettato di ripetere le pause umanitarie tra quattro settimane per i richiami del vaccino. Probabilmente perché si teme una diffusione del virus anche nei territori limitrofi e quindi nello stesso territorio israeliano.
Israele ha accettato la tregua per protezione personale.
È un paradosso altrimenti, no? Decidere di proteggere i bambini palestinesi dalla poliomielite solo per poi ammazzarli con le bombe.
EMERGENCY entra a Gaza
Per quanto forse impossibile, vorrei provare a concludere quest’articolo con una notizia “positiva”.
L’ONG Emergency, dopo mesi di attesa, ha finalmente ottenuto tutti i permessi per entrare a Gaza con lo scopo di avviare un progetto di assistenza sanitaria, con l’appoggio delle Nazioni Unite ed altri enti.
Nonostante arrivare ed entrare nella Striscia sia stato quasi impossibile perché l’80% del territorio è sotto ordine di evacuazione, Emergency ce l’ha fatta.
Il capomissione Stefano Sozza che ora si trova a Gaza conferma le condizioni agonizzanti in cui i civili palestinesi sono costretti a vivere e spinge per un cessate il fuoco immediato ma accende anche una luce fioca di speranza affermando:
“La clinica offrirà primo soccorso, stabilizzazione di emergenze medico-chirurgiche e trasferimento presso strutture ospedaliere, assistenza medico-chirurgica di base per adulti e bambini, attività ambulatoriali di salute riproduttiva e follow up infermieristico post-operatorio. Al contempo EMERGENCY avrà una base logistica in Giordania a supporto del team operativo sul territorio palestinese”.
Marcella Cacciapuoti
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