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I Provinciali – David Manzoni: il paese della quotidianità

Il paese ha misteri per cui oggi è sempre ieri

David Manzoni porta in scena con i provinciali (Divergenze, 2024) una quotidianità scintillante in un paese dove tutti sanno di tutti, narra microstorie di questi personaggi indimenticabili.

In questo romanzo anziché cercare degli echi gattopardiani, tento invece di trovare qualcosa in più. 

Se pensiamo all’incipit di Manzoni sembra molto simile al Gattopardo, e questo ha influenzato la lettura, poiché invece di guardare oltre nel romanzo di David, siamo stati tentati di fare una sorta di caccia al tesoro per trovare “qualcosa” dell’enorme capolavoro di Tomasi, non permettendo ai Provinciali di farci provare nuove emozioni. 

Le descrizioni vivide e realistiche dei personaggi di Manzoni permettono al lettore di trovare un Max, Ricky e don Lamberto nelle nostre cittadine, questa è la particolarità dei provinciali, perché non porta su carta personaggi scontati e fittizi ma reali

Manzoni con i provinciali mette in moto il byt’, ovvero la “vita quotidiana” di questi personaggi immemorabili come, ad esempio, don Lamberto indaffarato in un affare misterioso, e definito dagli altri “leccaostie”, che ha qualcosa (non del tutto) di don Blasco definito nei Viceré come “Porci di Dio”, in certa misura sono personaggi essenziali e fondamentali in entrambi i romanzi. 

“Uno scricchiolio attira la sua attenzione: viene da dietro l’assito del coro, dove don Lamberto è immobile come in estasi mistica. È inginocchiato davanti a una nicchia, chiuso in un raccoglimento profondo; Ricky non osa turbarne la concentrazione. Deve attendere un pezzo prima di vederlo alzare la testa, senza mai distogliere lo sguardo dall’apertura nel muro. Era passato tante volte dietro il coro quando faceva il chierichetto, ma la nicchia gli era sfuggita” (8)

Ecco che comincia il romanzo, una vera e propria commedia immersa in un’indagine cittadina che coinvolge tutti i personaggi, anche se non sembra, invece, è così, poiché è l’arrivo di Lilia, “è all’ultimo anno della facoltà di Lettere, indirizzo archeologico” a sconvolgere tutti i personaggi, allo stesso modo come accade con Tancredi nel Gattopardo e Consalvo nei Viceré.  

Manzoni prende un dettaglio come la “nicchia” per far cominciare il romanzo, ma non permette a questo dettaglio che potrebbe risultare banale e senza senso, di farlo esaltare da solo, ma dà modo che siano gli altri personaggi a dargli un senso, un valore. Mi soffermo su quest’aspetto anziché su tanti altri aspetti come, ad esempio, la scena del pronto soccorso quando Giulio viene medicato (28-29) e le “donne del paese” iniziano a ciarlare delle sue sorelle, proprio come accade nelle nostre cittadine, ossia che nei paesi, quartieri, nessuno si lascia sfuggire dei pettegolezzi, che possano essere notizie vere o false, non importa: importa dargli una voce e una storia.

È interessante soffermarsi sulla coralità del romanzo, come accade nei Viceré (un romanzo corposo in cui ci si può perdere facilmente), cioè che noi: “non abbiamo la sensazione di essere messi a contatto con la realtà attraverso un personaggio, ma attraverso una miriade di personaggi. Sono molti i personaggi chiamati a farci vedere, sentire, conoscere lo storyworld”. 

La coralità che usa David Manzoni in questo romanzo è lampante, possiamo immergerci nelle microstorie di questi personaggi dalla testa ai piedi, assaporando la bellezza della “fuitina” di Max e Lilia: “ti correrei dietro dappertutto, darei il mio sangue per te…ma dopo la pizza perché voglio morire a pancia piena” (99) e la tristezza della storia di Tino definito dalle vecchie del paese “lo sbandato che vive nei boschi del Po”. 

Per non spoilerare il romanzo (sono tentata!), voglio concludere in questo modo, qualche eco gattopardiano c’è: a partire dalla presenza costante del “sole assassino”, nel Gattopardo il sole è “narcotizzante”, un sole che non permette al principe Salina di “pensare” e l’immagine dell’immobilità dei personaggi.

“Perché le compagnie si perdono così? I cambiamenti. Ma quali? Siamo sempre noi, non si cambia” (48)

Ciò che colpisce di questo romanzo è l’assenza della “drammaticità” presente, invece, nel Gattopardo. Manzoni immette i suoi personaggi negli spazi aperti, fa in modo che le scene avvengano fuori, in paese agli occhi di tutti, proprio come stessero girando, non a caso nel romanzo c’è la presenza di una troupe (141). 

“Nella folla una donna urla: Renà, Renà! con marcato accento del Sud, altri scuotono il capo come approvando la scena. Le persiane delle case di fronte fanno filtrare una luce rosata e dietro le griglie si vedono ombre in ascolto. Sdraiato sul pavimento il ragazzo respinge la madre, prodiga di carezze e moine. Che è sto buco? gli dice toccando una gamba. Chi è stato? Dillo a me, che gli faccio passare la voglia. Dillo a mammà, tesò” (113)

Il romanzo di David Manzoni è un libro che bisogna leggere, grazie alle sue descrizioni realistiche e al suo registro quotidiano è un libro aperto a tutti, e non solo, è un libro in cui  possiamo diventare anche noi protagonisti. 

Emilia Pietropaolo

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Emilia Pietropaolo

Emilia Pietropaolo, laureata in Lettere moderne, attualmente si sta specializzando in Filologia Moderna alla Federico II. Ama da sempre la letteratura slava e quella balcanica. Collabora con le case editrici, scrive per Bibliovorax e per il foglio letterario. Collabora con le case editrici, scrive per Bibliovorax e per il foglio letterario. Ama mangiare e parlare di Fedya M. Dostoevskij.
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