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La prima luce di Neruda apre con grazia e potenza la nuova edizione del Campania Teatro Festival

La prima serata del CFT 2024 si apre al Teatro Mercadante di Napoli con l’adattamento per il palcoscenico di uno splendido racconto, un sogno pieno di spazio e di tempo, di cuore e mente.

L’opera scritta dallo storico direttore della rassegna, il drammaturgo Ruggero Cappuccio, trova uno spazio reale, un corpo e una materia.

La prima luce di Neruda, tratto dall’omonimo romanzo di Ruggero Cappuccio e diretto dal maestro argentino César Brie, immerge il pubblico nelle due stagioni più intense della vita di Pablo Neruda: l’amore e la rivoluzione, la rassegnazione e la fine. Il viaggio dalla pagina al palcoscenico avviene con fluidità e naturalezza, la parola scritta si lascia pronunciare con grazia dalla bocca degli attori.

La narrazione prende il via nel 1952, quando Neruda, rifugiato politico in Italia per le sue posizioni comuniste, viene svegliato bruscamente da un insistente bussare alla porta. Un decreto di espulsione, firmato dal ministro Scelba, lo condanna all’esilio. Neruda è destinato a essere estradato in Svizzera, ma alla stazione di Roma, una folla di intellettuali italiani, fra cui Alberto Moravia, Elsa Morante, Renato Guttuso e Carlo Levi, sfida apertamente le autorità per impedirne la deportazione. A osservare la scena, in disparte ma con il cuore colmo di attesa, c’è Matilde Urrutia, l’amore segreto e tormentato di Neruda, interpretata da una intensa Cristina Crippa (Matilde anziana) e da una vibrante Silvia Ferretti (Matilde giovane).

La regia di César Brie scava in profondità, viaggia avanti e indietro nel tempo, attraverso l’animo e la memoria di un Neruda giovane, poi vecchio, poi nuovamente giovane. La giostra è un percorso, una narrazione che asseconda i movimenti della mente umana, incapace di incastrarsi nel presente con precisa immobilità. La vita di Neruda – poeta sommo – si srotola sul palco con un’intensità che rende ogni scena una sorta di affresco vivente.

La scelta di alternare due piani temporali – il passato dell’amore clandestino vissuto tra Capri e il Cile, e il presente del golpe di Pinochet – conferisce allo spettacolo una dinamica che tiene costantemente sospeso lo spettatore tra eros e thanatos, tra vita e morte. Elio De Capitani, nelle vesti di Neruda anziano, offre una performance ricca di pathos, dolente e grata, afflitta dalla malattia ma gonfia d’amore nei confronti di Matilde, del mondo, di quella vita passata e piena. Il giovane Umberto Terruso incarna invece il Pablo ardente e rivoluzionario, un uomo che vive (e muore) di passione, politica e amorosa.

L’amore di Matilde e Pablo, reale e tormentato, intreccia la sua storia con la Storia, la storia dell’amato e natio Cile, nella sua era più sanguinosa e scioccante. La presenza dei grandi nomi della cultura italiana a difesa del poeta rappresenta un momento simbolico di resistenza collettiva contro l’autoritarismo. Una presa di posizione che risuona nel presente con potenza e un lunghissimo eco.

Il racconto, un vero e proprio crescendo drammatico, raggiunge l’acme nelle ultime battute. La “fine” del Cile – percepita così da un Neruda vecchio e morente – è segnata dalla caduta del governo democratico di Salvador Allende e la successiva ascesa della dittatura di Pinochet. Una fine che il poeta cileno paragona, e sente dentro, al lento deteriorarsi della sua salute psicofisica. Il colpo di Stato segna il saluto definitivo alla libertà, ma anche l’addio di Neruda alla vita. E qui la regia di Brie insinua il dubbio, sollevato anche da recenti indagini, di un possibile assassinio del poeta. Una misteriosa iniezione, somministrata da un medico mai identificato, potrebbe aver accelerato la sua fine.

Sulla scena, nulla è lasciato al caso: Nando Frigerio cura con grande sensibilità le luci e le scenografie, che alternano la poesia sognante di Capri e la cupezza del Cile sotto la dittatura. Un chiaroscuro che emana, probabilmente, dall’anima stessa dell’artista, fuggitivo e prigioniero, sognatore e guerriero. La colonna sonora dal vivo di Francesca Breschi accompagna, avvolge, definisce gli animi vivissimi e agitati dei protagonisti. La performance vibra, lo spettatore con lei.

L’adattamento di César Brie crea un discorso fluido, intelligente, tra dimensione personale e politica attraverso una regia semplice, ma precisa. La scelta di raddoppiare i protagonisti, sdoppiando Neruda e Matilde tra gioventù e vecchiaia, è emblema e voce dell’ineluttabile trascorrere del tempo, in un gioco di specchi che mette a nudo le ferite della memoria.

Nonostante l’opera soffra di una overdose di falsi finali, ma anche una durata eccessiva che potrebbe essere limata, riesce con determinazione a comunicare un messaggio: il messaggio di libertà che parte da Neruda e si propaga grazie alla rilettura di Ruggero Cappuccio.

La prima luce di Neruda non è solo un omaggio a uno dei più grandi poeti del Novecento, ma un’elucubrazione emozionante sulla resistenza: la dittatura può spogliare l’uomo dei suoi averi, della sua privacy, della sua terra madre, ma non può toccare la libertà di pensiero. Quel piccolo spazio che è, come ci ricorda il film cult V per Vendetta, solo e totalmente nostro.

Sveva Di Palma

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photo credits: Emiliana De Vivo

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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