Luigi Da Porto: l’italiano che scrisse (veramente) Romeo e Giulietta
La tragedia di Romeo e Giulietta, incarnando perfettamente una delle storie d’amore più popolari ed apprezzate di tutti i tempi, rappresenta certamente il dramma shakespeariano per antonomasia, nonché un capolavoro drammatico senza eguali né precedenti, tradotto e messo in scena in quasi tutte le lingue del mondo.
La vicenda dei due protagonisti, inoltre, ha assunto nel tempo un valore quasi simbolico, divenendo ben presto l’archetipo dell’amore perfetto, ma costantemente ostacolato dalla società. Resta da capire, tuttavia, quanto di questo mito sia da attribuire all’inventiva di Shakespeare e quanto, invece, esisteva già ed è stato semplicemente rielaborato dal fine ingegno del drammaturgo inglese.
La risposta a questa domanda potrebbe apparirti inaspettata, ma la verità è che la tragica storia dei due amanti veronesi, perennemente osteggiati dalle rispettive famiglie, fu inventata dal vicentino Luigi Da Porto, autore, tra il 1512 e il 1524, della novella “Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti”, ad oggi considerata la più antica testimonianza del mito di Romeo e Giulietta.
Rampollo di una nobile famiglia di Vicenza, Da Porto nacque nel 1485 e, proprio com’era consuetudine tra i membri dell’aristocrazia, fu educato, ancora giovanissimo, all’arte della guerra. Dopo aver prestato servizio nell’esercito veneziano, la sua vita cambiò completamente il 21 giugno 1511 quando, durante una battaglia contro i tedeschi tra i fiumi Torre e Natisone, fu ferito da una stoccata alla gola e rimase irrimediabilmente paralizzato. Conscio che non avrebbe potuto più impugnare una spada, rinunciò per sempre alla vita militare, per poi trasferirsi nella sontuosa villa in campagna della sua famiglia, a Montorso Vicentino.
È possibile che, dalle finestre di Villa Da Porto, il colpo d’occhio sulle maestose rocche scaligere del Castello della Villa e del Castello della Bellaguardia dovesse apparire, allora come oggi, molto suggestivo; non è un caso, infatti, che la tradizione voglia che lo scrittore, sentitosi ispirato dalla vista dei due manieri vicini, anche se perfettamente opposti, abbia composto proprio in questo luogo la novella dei due amanti dai destini paralleli, condannati a restare eternamente vicini, a sfiorarsi appena, senza mai incontrarsi veramente.
Questo desiderio inappagato, quasi passione proibita, affonda le sue radici nelle pieghe più intime e oscure della biografia di Da Porto: innamorato di una sua cugina friulana, infatti, lo scrittore patì le pene d’amore più intense nel momento in cui lei, pur ricambiando i suoi sentimenti, fu promessa ad un altro uomo con lo scopo di sanare un’antica faida familiare. Il dolore che lo travolse, probabilmente, fu ben peggiore di qualsiasi ferita fisica e la penna, offrendogli conforto e consolazione, divenne figlia prediletta della sua lancinante sofferenza. Fu così che nacque la storia che noi tutti oggi conosciamo e che William Shakespeare, dopo averla adattata in tragedia, rese celebre in tutto il mondo. E come termina, invece, la storia di Luigi Da Porto? Sappiamo, di per certo, che egli morì a Vicenza nel 1529, ben prima della nascita dello stesso Shakespeare. Ad oggi, sebbene i critici e gli storici gli riconoscano l’indubbio merito di aver battuto lo scrittore inglese sul tempo, Da Porto resta, ahimè, una figura locale, riconosciuta dai veneti soprattutto come simbolo di una vita e di una carriera nata sotto la stella sbagliata. Eppure, a quei pochi che la conoscono, la storia dello sfortunato novelliere non può che insegnare una splendida morale di rivalsa: taciuto e dimenticato, amore non corrisposto, Da Porto ebbe il merito di donare ai posteri un diamante prezioso, pronto a diventare finissimo grazie all’abile mano inglese certo, ma già di per sé più unico che raro. E chissà oggi quale sarebbe la lingua dell’amore se Da Porto, quel giorno, non avesse gettato lo sguardo su quelle due fortezze destinate a restare lontane, anche se per sempre intimamente vicine.
Antonio Palumbo
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