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Napoli: preistoria e protostoria di un amore millenario

La città di Napoli, azzurra regina del golfo, si erge ancora oggi maestosa nel cuore del Mediterraneo, quasi volendo lanciare una sfida all’azione erosiva della storia e della memoria; le sue strade, i suoi monumenti e le sue tradizioni raccontano una storia d’amore millenaria, iniziata ben prima della fondazione degli antichi insediamenti ellenici di Partenope e Neapolis.

E mentre la città attende con fervente trepidazione gli eventi e le manifestazioni che si terranno nel 2025, in occasione dei 2500 anni dalla fondazione di Neapolis, è bene ricordare che le vere e proprie origini di questa città sono da collocarsi in tempi ancora più remoti, a sostegno di un legame profondo e indissolubile tra l’uomo e la terra napoletana. Quali furono, dunque, le prime luci della città divenuta simbolo di eternità?

«Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna? Vi troverete Napoli. È il destino dell’Europa diventare Napoli».  

Con queste parole Curzio Malaparte, autore del romanzo La Pelle, tinteggiava l’antichissima città che ancora oggi, come splendente gioiello incastonato nel Mediterraneo, continua ad imprimere un segno indelebile nel cuore e nella mente dei turisti che ogni anno la visitano e che, con entusiasmo, se ne innamorano.

Malaparte, infatti, resosi conto dell’universalità e del fascino senza tempo dell’antica Partenope, scelse proprio Napoli come ambientazione del suo fortunatissimo romanzo, consapevole che l’atmosfera di quello sfaccettato microcosmo, così ricca di potenzialità espressive e narrative, nessun’altra città sarebbe stata in grado di restituirla.

E aveva ragione.

Un’epopea di arte e cultura attraversa e permea l’aria del capoluogo campano, tanto che persino le strade e le piazze sembrano raccontare, con voce sussurrata, le infinite vicende di una storia lunga ben tremila anni: Greci, Romani, Egizi, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Francesi, Austriaci e Americani calpestarono il suolo di Partenope che, come ammaliante sirena, ha amato e si è lasciata amare, dando senso e corpo a quell’immortale verso dantesco che recita: «Amor, ch’a nullo amato amar perdona».

Già questo basterebbe per rendere Napoli unica nel suo genere, eppure non è tutto: il suolo della città, infatti, presenta la particolarità di esser stato ininterrottamente abitato per millenni, rappresentando, per questa ragione, un raro ed affascinante caso di urbanizzazione storica e di ampliamento progressivo.

Insomma, di fronte ad uno scenario così stratificato e complesso, la storia di Napoli non può che suggerirci innumerevoli interrogativi, primo fra tutti “quale fu l’antica origine di tutto questo?”.

Sappiamo certamente che il Vesuvio, spesso considerato dai napoletani un vero e proprio spauracchio, quasi fosse una minacciosa entità sovrannaturale che aleggia sulle loro teste, permise, di fatto, la nascita e lo sviluppo della città.

Il vulcano campano, infatti, grazie alle sue prime eruzioni, contribuì a delineare la morfologia odierna di tutta l’area, permettendo a quest’ultima di essere ricca di piperno, tufo e pozzolana; si tratta di rocce malleabili che, foriere di antri e grotte, fornirono una singolare “casa naturale” per gli antichi abitanti del luogo. Inoltre, gli straordinari progressi dell’archeologia e della tecnica hanno permesso agli studiosi di riportare alla luce, a metà del secolo scorso, quelle che ad oggi sono considerate come le più antiche tracce di presenza umana stabile nella città di Napoli: risalenti a circa cinquemila anni fa, delle sofisticate e affascinanti tombe scavate nella pietra gialla, veri e propri labirinti di corridoi e cunicoli, si sviluppano, infatti, sotto il popolare rione di Materdei, costituendo quasi una preistorica “città sotto la città”, mentre all’interno delle grotte che, da millenni, si stagliano lungo l’odierna via Chiatamone, furono ritrovati vari esempi di ossa lavorate, frammenti ceramici, vasi nerastri, anse e ollette, tutti reperti di natura preellenica.

Questi resti, unici e straordinari, appartenevano a popoli trogloditi (abitatori di grotte e caverne, dal gr. trōglodýtēs, letteralmente “che si immerge nelle caverne”) quasi sicuramente identificabili con gli Opici, il cui nome deriva dalla crasi perfetta dei termini greci ópé (grotta) e oίkeϊn (abitare); sopraffatti dalla tribù degli Osci, i quali divennero ben presto padroni indiscussi di quella che in seguito, in epoca romana, sarà chiamata “Campania Felix”, gli Opici, attorno al 1280 a.C. “passarono il testimone” ai loro successori, imprimendo, tuttavia, la loro orma indelebile nella storia della città di Napoli.

Appare sicuramente affascinante l’idea per cui i più antichi dominatori di quella che un giorno sarebbe diventata Napoli, abitarono questi luoghi ben prima della stessa fondazione dell’antica Partenope, avvenuta per opera dei Cumani durante l’VIII secolo, quasi a testimoniare l’immensa ricchezza che questa terra, a partire dalla sua stessa origine fisica e concreta, riuscì a donare a coloro che via via vi si sono stanziati, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio. Ad oggi questa ricchezza, più che essere svanita, sembra aver mutato la sua natura intrinseca, trasformandosi in maestosa bellezza. Un fascino senza tempo quindi, capace di rapire come fatale canto di sirena, mente e cuore; perché, in fondo, come scrisse anche Goethe, «Non sarà mai del tutto infelice chi col pensiero può tornare a Napoli».

Antonio Palumbo

Photo credits: Riccardo Tuninato

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Antonio Palumbo

Antonio Palumbo, classe 1999, è dottore in Lettere Moderne e attualmente completa la propria formazione con una magistrale in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Insegna Lingua e Letteratura Italiana in un istituto scolastico privato e, appassionato di lettura e di scrittura, dedica il suo tempo libero anche alla fotografia naturalistica e al collezionismo di libri e di monete antiche. Insegue il sogno di visitare il mondo e di scoprire tutto il fascino e la complessità delle diverse culture umane.
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