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Sei nei tuoi vent’anni e ti senti un po’ perso? Benvenuto nella tua quarter – life crisis

Si dice che bisogna sempre scrivere di ciò che si conosce per esperienza diretta, ma è difficile scrivere di qualcosa quando ci sei nel mezzo. 

Soprattutto se quel “qualcosa” è una vera e propria crisi esistenziale, con tutto il suo corredo di domande senza risposta, aspettative irrealistiche e dubbi persistenti. 

Il giorno prima sei a casa mentre mamma e papà ti preparano la colazione, con la TV che pigramente riproduce sempre gli stessi cartoni animati, intento a finire un puzzle che i tuoi ti avevano regalato per Natale. Il giorno dopo (qualche anno dopo, ma non ce ne siamo neppure accorti) ti risvegli fuori la porta di casa, con il mondo reale davanti ai tuoi occhi. Ti è stato detto di trovare il tuo posto lì fuori, ma ti sembra di non conoscere nemmeno una regola di quelle che lo muovono. Abbassi lo sguardo e il puzzle giace ai tuoi piedi, ma non è quasi finito, anzi è da ricominciare. I pezzi sono tutti sparpagliati e capire da dove partire sembra impossibile. Se ti suona familiare, benvenuto nella tua crisi del quarto di secolo!

Tra dubbi persistenti e voglia di fare

Il nome deriva proprio dal fatto che se ne fa esperienza tendenzialmente tra i venti e i trentacinque anni. Secondo alcuni può presentarsi già alla soglia dei diciotto anni, secondo altri non si incontra prima dei venticinque anni. Tutto dipende dall’età in cui ci si affaccia al mondo degli adulti, che solitamente avviene al termine degli studi: quando si rendono necessarie scelte mai fatte prima, di cui, per la prima volta, siamo gli unici responsabili. In ogni caso, il comune denominatore è una condizione di ansia e preoccupazione circa la direzione e la qualità della propria vita: carriera, relazioni, situazione finanziaria, sollevano un mare di interrogativi che per giorni interi restano lì, fermi, aspettando una risposta che non sembra riuscire a trovarli. 

Accanto a questi, si fa spazio uno strano desiderio di arrivare, di riuscire, di realizzare, senza mai fallire. È strano perché non sappiamo esattamente quand’è che abbiamo cominciato a ragionare per obiettivi e abbiamo smesso di credere che per realizzare un sogno bastasse sognarlo, come da piccoli. Quando una bambina dice che da grande vuole fare la scrittrice, immaginarsi adulta, indaffarata a buttar giù il suo terzo romanzo alla scrivania, è abbastanza per sentirsi soddisfatta e sicura che un giorno, semplicemente, quella fantasia assumerà le fattezze della realtà. Poi quella bambina diventa adulta e si rende conto che l’immaginazione deve completarsi con l’azione se si vuole inseguire un sogno. Talvolta invece, si rende conto che quel sogno non è nemmeno il suo, ma di chi l’ha cresciuta con i suoi modelli di riferimento. 

Conflitti interiori e conflitti generazionali

Ecco, questo è un punto molto importante della crisi del quarto di secolo: i conflitti interiori, dovuti alla crescita e ad un inevitabile evolversi della nostra personalità, non sono gli unici che dobbiamo affrontare. Accanto ad essi, spesso fa capolino anche il conflitto generazionale, ma andiamo per ordine. 

È naturale che a vent’anni ci si senta diversi dal proprio vecchio sé, con i suoi vecchi desideri e i vecchi punti di vista. La sensazione è più o meno quella di non sentirsi interi, ma frammentati, nel disorientato tentativo di capire quali parti vogliamo portarci dietro e quali lasciare nel passato. Il tempismo, poi, non gioca a nostro favore, perché proprio mentre stiamo costruendo questo nuovo sé – ancora alquanto nebuloso – ci troviamo a dover prendere delle scelte di vita, pur non essendo ancora sicuri di sapere davvero cosa vuole la persona che stiamo diventando. È chiaro che in un quadro del genere ci si senta un po’ persi, chi non lo sarebbe?

Stiamo crescendo. Non solo, stiamo cercando di capire come vestire al meglio i panni di un adulto, e da chi potremmo prendere esempio, se non dai nostri genitori? Che tra l’altro, dal canto loro, si aspettano di vedere un modo di crescere che gli somigli, sicuri dei modelli culturali che li hanno nutriti e che tanto pazientemente ci hanno tramandato. Il problema è che quei modelli rappresentavano un ottimo libretto d’istruzioni in un tempo in cui i nostri genitori attraversavano i loro vent’anni. Un tempo in cui il posto fisso era la prospettiva migliore tra tutte e lo sguardo puntato al matrimonio, l’unica possibile. 

Così, siamo cresciuti osservando il mondo con le lenti che ci erano state date, e solo dopo averci messo piede davvero, ci siamo resi conto che quelle lenti usurate non mettevano a fuoco il mondo e il tempo che viviamo oggi. Un mondo in cui la tecnologia ha cambiato il modo in cui si vive, quello in cui si lavora e persino quello in cui si pensa. Un mondo in cui le relazioni non sono eterne se non vogliamo che lo siano (abbiamo capito che divorziare da qualcuno forse è meno scandaloso che passarci insieme tutta la vita controvoglia).  Un tempo in cui il mercato del lavoro è incerto e le opzioni di carriera non sono più limitate, ma così vaste da paralizzare la scelta. 

Forse quindi, non è poi così strano che i nostri genitori a volte non capiscano perché proviamo queste emozioni – di smarrimento, di incertezza, di paura del futuro – a vent’anni. Forse, però, è anche normale che ci renda tristi – e in crisi – quando le generazioni passate non validano le nostre emozioni, come se non avessero senso e diritto di esistere. Come fossero immotivate anziché semplicemente diverse dal loro vecchio vissuto.

Come affrontare la crisi del quarto di secolo

Cosa fare, quindi, per capire in che verso andare mentre siamo nel pieno della crisi del quarto di secolo? Come iniziamo a riappiccicare i pezzi di quel puzzle che – poco più su – avevamo lasciato disseminato lì per terra? Innanzitutto, è abbastanza chiaro, bisogna capire che non è utile provare a riprodurre il vecchio disegno sulla scatola. Quel disegno era stato pensato per noi da genitori, insegnanti, zii e così via, e non avevamo dovuto far altro che seguirlo pedissequamente. Ci era stato donato con le migliori intenzioni, ma non poteva tener conto di chi saremmo diventati. Adesso però, bisogna tracciare nuove linee, e possiamo farlo solo noi. Possiamo – e dobbiamo – autodeterminarci e imparare a muoverci da soli nel mondo. Come? Sbagliando, brancolando nel buio, ritentando. 

Non si tratta di una compassionevole rassicurazione. Tentare è davvero l’unico modo che abbiamo per conoscerci meglio e capire qual è il posto giusto per noi, che sia una persona o un ambiente di lavoro: esplorare nelle relazioni, viaggiare alla scoperta di nuove realtà o finanche provare diverse occupazioni, senza tenere il conto di quante volte cambiamo direzione, perché ognuna ci serve per aggiustare il tiro. Soprattutto, ricordare che non potremmo fare diversamente, perché tutti noi viviamo questa vita per la prima volta, compresi gli adulti. 

“Se la prese con se stesso, ma alla fine si disse che in realtà era del tutto naturale non sapere quel che voleva. Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita soltanto (…) Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato”

Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984)

E cosa può fare un attore che entra in scena senza aver mai provato, se non improvvisare? Qualsiasi età egli abbia. Insomma, non abbiamo bisogno di diventare persone che sanno sempre cosa fare o come è meglio agire: non è questo che vuol dire diventare adulti, ma essere artefici del disegno della propria vita, anche se bisogna cancellarlo più volte. 

Conclusioni: Friends insegna

Proviamo a concludere con una nota positiva o, se preferite, con un consiglio pratico: correte a vedere Friends.

La crisi del quarto di secolo è stata spesso raccontata attraverso le serie TV, per analizzarla, descriverla, ma anche per alleggerirne le difficoltà. È il caso della sitcom Friends, che offre una prospettiva più lieta e meno pessimista di questa burrascosa fase della nostra vita. Tra relazioni fallite, improvvisi cambi di carriera, delusioni e tanto caffè, i sei amici attraversano tutte le prove che si possono affrontare quando ci si fa strada nel mondo reale. Nel farlo, camuffato tra una battuta e l’altra, ci donano un insegnamento banale quanto illuminante: possiamo continuare a divertirci, anche durante la crisi. Possiamo vivere la vita in tutti i suoi risvolti ed imprevisti, creare ricordi indelebili, imparare a non prenderci troppo sul serio. 

Soprattutto, Friends ci ricorda che non siamo soli. Che se lanciamo uno sguardo ai nostri amici noteremo che siamo tutti sulla stessa barca. Che possiamo sempre riunirci su un divano: a consolarci, a scambiarci consigli o a ridere dei nostri errori.

Settembrini Simona

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Simona Settembrini

Simona Settembrini, classe 2001, laureata in “Culture Digitali e della Comunicazione”. Per descrivermi al meglio, direi che l’amore, in qualunque sua forma, è sempre al primo posto nella mia vita. Scrivo perché mi aiuta a rendere il mondo meno confuso e per mettere nero su bianco le mie emozioni e quelle degli altri, perché in fondo sono tutte uguali.
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