When They See Us. La miniserie che ripercorre il caso dei Central Park Five
Che succede quando un sistema che dovrebbe proteggerci, ci rovina la vita? Quando chi dovrebbe tutelare i nostri diritti, invece decide di usarci come capri espiatori?
Lo sanno bene i Central Park Five, e questa è la loro storia.
La miniserie americana, ideata e diretta da Ava Duvernay per una distribuzione Netflix, documenta “il caso della jogger di Central Park” e tutti i suoi risvolti.
La jogger è Trisha Meili, 28 anni, aggredita a Central Park nell’aprile del 1989 mentre si allenava. Nonostante questo articolo abbia come scopo quello di raccontare la vicenda dei Central Park Five, è importante dare risonanza anche alla vittima; per chi volesse sapere di più della coraggiosissima Trisha:
Tra le 21:00 e le 22:00 del 19 aprile ’89, circa 30 giovani commisero rapine, attacchi di vario tipo, furti e aggressioni nella zona nord di Central Park, a New York; infatti, il New York Times ha descritto quanto accaduto quella sera come “uno dei crimini di più ampia risonanza degli anni ottanta“.
Trisha, vicepresidente di un dipartimento di finanza aziendale, era andata a correre nel parco come suo solito poco prima delle 21:00. Fu aggredita all’improvviso e buttata a terra, trascinata per oltre 90m per poi essere nuovamente aggredita con estrema violenza, stuprata, picchiata e sodomizzata. Quando fu trovata, circa all’una e mezza di quella notte in un fosso poco più a nord, il poliziotto che la vide per primo disse che “era stata picchiata come nessun altro che avevo visto fino ad ora…sembrava fosse stata torturata“. Trisha era completamente nuda, legata, imbavagliata, ricoperta di sangue e fango. Restò in coma per 12 giorni; aveva uno shock emorragico di quarto grado, emorragia interna con conseguente perdita dell’80% di sangue a causa delle coltellate ricevute, cranio fatturato in 21 punti e fratture facciali. Fu data per morta da subito, invece non solo si svegliò ma ritornò anche a lavoro otto mesi dopo l’aggressione, in seguito a cure e riabilitazione, con alcuni problemi di vista e di equilibrio. Ad oggi Trisha afferma di non avere alcun ricordo né dell’aggressione né delle sei settimane successive, probabilmente una reazione al forte trauma subito.
I quattro episodi della miniserie americana si concentrano su cinque ragazzi: Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam, Korey Wise e Raymond Santana, ingiustamente accusati ed incarcerati per l’aggressione di Trisha Meili.
Durante le indagini i principali sospettati furono immediatamente le gang di adolescenti. I 30 giovani colpevoli delle numerose aggressioni di quella sera e i cinque sospettati entrarono nel parco da un’entrata di East Harlem, dove i cinque vivevano anche. Un jogger disse ad un poliziotto di essere stato aggredito da 4-5 ragazzi afroamericani; alle 22:15 Raymond Santana e Kevin Richardson furono arrestati insieme ad altri ragazzi a Central Park West. I restanti tre furono interrogati successivamente, dopo essere stati identificati come aggressori o semplicemente presenti in alcuni attacchi da altri giovani.
Tutti e cinque furono interrogati per ore. Parliamo di interrogatori estenuanti, lunghissimi ed emotivamente distruttivi per dei ragazzini di 15 e 16 anni, e uno di loro addirittura ne aveva 14. Nonostante nessuno di loro avesse commesso il crimine, spinti dal terrore iniziarono ad incolparsi a vicenda nel tentativo di salvarsi; inoltre, gli investigatori avrebbero usato dei trucchi per ingannare i cinque ragazzi verso la confessione (ad esempio, a Salaam fu detto che le sue impronte erano state trovate sul corpo della vittima. La verità è che sul corpo di Trisha furono trovate le impronte corrispondenti ad uno sconosciuto e dunque non corrispondevano a nessuno dei cinque ragazzi). A causa dell’assenza di DNA, l’unico modo per incolparli era la confessione. Solo le confessioni dei ragazzi, ingannati e costretti, furono riprese tramite video, mentre le svariate ore di interrogatorio non hanno mai visto la luce. Inoltre, non mancò un abuso di potere da parte degli investigatori: tutti e cinque furono picchiati fino allo sfinimento, e la violenza fu solo un altro strumento per estorcere false confessioni.
Seguirono due processi. Il primo, nell’agosto 1990, vide Yusef Salaam, Antron McCray, e Raymond Santana liberi dall’accusa di tentato omicidio ma condannati per stupro, aggressione, rapine e disordine, sia per la jogger che per altre vittime della violenza di quella sera. McCray e Salaam avevano 15 anni e Santana 14, dunque ricevettero la pena massima permessa ossia 10 anni in un centro di correzione giovanile. Il secondo processo, nel dicembre dello stesso anno, confermò le condanne di Richardson e Wise: Richardson aveva 14 anni e fu processato come minore; dunque, anche a lui toccarono i 10 anni in un centro di correzione giovanile. Wise, invece, aveva 16 anni e fu processato come adulto, con una condanna dai 10 ai 15 anni in prigione. Wise, disperato, gridò al pubblico ministero “Pagherai per questo. Gesù ti prenderà. Ti sei inventato tutto.” I giurati intervistati dissero di non essere convinti della colpevolezza dei cinque ma si ricredettero alla vista delle prove: sperma, erba, terriccio, e due capelli compatibili con i capelli della vittima recuperati dalle mutande di Richardson. Ovviamente, tutte queste prove furono fabbricate dagli investigatori, perché per citare il Reverendo Calvin O. Butts: “La prima cosa che fai negli Stati Uniti d’America quando una giovane donna bianca viene stuprata è prendere un gruppetto di giovani neri”.
Nel 2001, arriviamo finalmente alla svolta. Matias Reyes, condannato all’ergastolo per diversi stupri ed omicidi, incontrò Wise all’Auburn Correctional Facility. Un anno dopo Reyes confessò di aver stuprato e torturato Trisha Meili, descrivendo l’aggressione nel dettaglio e confermando di aver agito da solo. Riaperto il caso, ovviamente stavolta seguito da investigatori diversi, tutto iniziò a prendere forma: un nuovo esame del DNA confermò che lo sperma trovato dentro Trisha era il suo, così come i capelli. In più, Reyes aveva legato la vittima con una maglietta in un modo che poi avrebbe utilizzato anche con le sue successive vittime. Di fronte a queste prove schiaccianti, l’ufficio del procuratore distrettuale Morgenthau ritirò le accuse e chiese la revoca di tutte le condanne per tutti e cinque, concessa poi dal giudice Tejada della Corte Suprema di New York. Crudelmente, gli investigatori responsabili di questa terribile ingiustizia non hanno ricevuto alcuna punizione.
Sebbene i cinque uomini abbiano ricevuto dei risarcimenti, purtroppo al momento della revoca delle condanne avevano già finito di scontare la loro pena. Hanno chiesto un ulteriore risarcimento alla New York Court of Claims, ed in merito Santana ha detto: “Quando hai una persona che è stata esonerata da un crimine, la città non prevede nessun aiuto per riportarlo nella società. L’unica cosa che ti rimane fare è questa — così puoi ricevere dei soldi per poter sopravvivere.“
Benché i cinque uomini ora conosciuti come The Exonerated Five siano riusciti a ricostruire la loro vita, nessuno gli darà mai indietro il tempo trascorso ingiustamente dietro le sbarre o la loro gioventù. Il profondo trauma psicologico resterà sempre una grande parte delle loro vite, ed è da apprezzare che ancora oggi continuino a fare interviste e parlare della situazione. D’altronde, un’ingiustizia di grado così alto non può e non deve mai essere dimenticata.
La serie esplora nel profondo le ingiustizie socio-razziali che caratterizzano questa storia. Perché gli investigatori hanno deciso di incolpare dei ragazzi neri, al punto da falsificare prove e non percorrere anche altre strade? E perché, ancora oggi, quando viene commesso un crimine, al telegiornale dicono prima la nazionalità del sospettato e poi tutto il resto, anche quando è irrilevante (quasi sempre)?
Che la storia di questi uomini coraggiosi possa essere per noi uno spunto di riflessione, nell’educarci e nell’educare gli altri a stare lontani da stereotipi e pregiudizi.
Marcella Cacciapuoti
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