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E vissero per sempre mummie e contente 

Quando si parla di mummie, si corre subito col pensiero ai faraoni egizi e alle loro credenze sulla vita dopo la morte.

Tuttavia, i corpi mummificati non sono una prerogativa della nobiltà egizia, anche perché talvolta il processo di mummificazione può essere causato da eventi naturali. Le mummie arrivate a noi oggi, dunque, provengono da molte parti del mondo, e alcune di esse ci sono arrivate in modo, se vogliamo, del tutto involontario.

Conosciamone insieme qualcuna.

Ginger, l’uomo di Gebelein

Per non sconvolgere troppo gli equilibri, cominciamo comunque da una mummia egiziana, che non ha nulla a che fare, però, con i nobili faraoni. Si tratta di Ginger, risalente al 3400 a.C., ovvero al cosiddetto Periodo predinastico dell’Egitto.

Ginger, così chiamata per i suoi capelli rossi come lo zenzero, fu ritrovata in posizione fetale nel deserto sabbioso di Gebelein, dove si soleva, assai prima dell’epoca dei faraoni, seppellire i morti in fosse poco profonde scavate nella sabbia. Rivestite con stuoie in canna, le tombe erano riempite di terra una volta che il corpo veniva coperto di lino o pelli e altre stuoie. E a quanto pare, il contatto con la sabbia calda asciutta permetteva la conservazione naturale degli organi e dei tessuti poiché ne assorbiva l’acqua, impedendo ai microrganismi di riprodursi e, dunque, impedendo l’effettiva decomposizione del corpo. 

Ginger, chiamata anche soltanto “L’uomo di Gebelein” è infatti stata scoperta nel 1896 in ottime condizioni di conservazione, con addirittura le unghie intatte, oltre ai capelli. Conservata nel British Museum, Ginger riposa circondata dalle ceramiche e dagli altri oggetti che le furono posti accanto in preparazione per il suo viaggio dopo la morte.

La mummia di Ötzi

Contemporanea a Ginger è la mummia del Similaun, detta simpaticamente Ötzi poiché fu ritrovata nei ghiacciai delle Alpi della Ötztal, in Trentino Alto Adige. Corpo maschile risalente a circa 3300 anni a.C, alla cosiddetta Età del Rame, si è conservato proprio grazie alle particolari condizioni climatiche del ghiacciaio. Al momento della morte, la mummia di Similaun doveva avere tra i quaranta e i cinquant’anni e, stando alle analisi condotte al microscopio, ha consumato speck di stambecco come ultimo pasto.

Seppure il suo ceppo genetico non esista più, sono state riscontrate parentele comuni con i popoli corsi e sardi. Sappiamo inoltre che il suo gruppo sanguigno era 0, che aveva un’intolleranza al lattosio e la malattia di Lyme, nonché una certa predisposizione alle malattie cardiovascolari e all’artrosi, che ha presumibilmente tentato di curare con tatuaggi terapeutici o religiosi nella parte bassa della colonna vertebrale.

Scoperta nel 1991, la mummia fu danneggiata severamente durante il trasporto, ciononostante ne conserviamo anche gli indumenti e oggetti personali: un arco in legno di tasso, una faretra con due frecce pronte e altre in lavorazione in legno di viburno, un pugnale di selce, un ritoccatore per lavorare la selce, un’ascia in rame – dalla quale si evince un’estrazione medio-alta dell’uomo data la pregiatezza del rame in quel periodo – una perla in marmo, esche e acciarino e uno zaino per contenerli. Questi oggetti, insieme alle gravi ferite riportate alla spalla sinistra, ci dicono che l’uomo sia stato ucciso da una freccia, forse durante una battuta di caccia con altri compagni.

Conservata oggi al Museo archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, dopo una lunga contesa con l’Austria, la mummia è in una stanza con circa il 99,6% di umidità e −6 °C, visibile solo da una finestrella di circa 30 × 40 cm.

La Signora Dai

Chiamata anche Marchesa di Dai, Xin Zhui fu la moglie di Li Cang, marchese di Dai e cancelliere del regno di Changsha durante la dinastia Han occidentale dell’antica Cina. Morta nel 168 a.C., è giunta a noi mummificata nel 1968, quando fu scoperta nella sua tomba in un eccezionale stato di conservazione, circondata da centinaia di preziosi manufatti e documenti, nella collina di Mawangdui, a Changsha, nella provincia di Hunan in Cina. 

La scoperta della tomba di Xin Zhui è stata fondamentale per l’apprendimento di molte notizie – prima di allora sconosciute – sulla dinastia Han.

Donna stravagante per il suo tempo, amante della musica e del cibo raffinato, la signora Dai soffriva di molti disturbi gravi, tra cui trombosi coronarica e arteriosclerosi – probabilmente dovute allo stile di vita sedentario – e calcoli biliari, di cui uno si è depositato nel suo dotto biliare. 

Dalla presenza di semi di melone nello stomaco, sappiamo che è morta d’estate, intorno ai 50 anni d’età. Il suo corpo fu avvolto in venti strati di indumenti legati con nastri di seta, deposto poi in quattro costruzioni di pino rettangolari inserite una nell’altra, sepolte sotto strati di carbone vegetale e argilla pressata. A conservare il suo corpo così bene uno strano fluido acido all’interno della bara. La sostanza sconosciuta ha mantenuto intatta la morbidezza di pelle e muscoli e la mobilitazione degli arti. Persino peli e capelli, sotto una parrucca, e le sue impronte digitali sono ancora intatti!

Non soltanto i resti della marchesa, ma anche gli oggetti sepolti con lei sono straordinari per il loro interesse storico e culturale poiché svelano tanto sul periodo in cui è vissuta e sulle usanze della dinastia Han, soprattutto in occasione di morte.

L’uomo di Tollund

Dalla Cina ci spostiamo in Danimarca per conoscere l’uomo di Tollund, una mummia di palude assai ben conservata grazie agli sfagni, muschi tipici delle torbiere che ne hanno bloccato la decomposizione. Uomo vissuto intorno al IV secolo a.C. in Scandinavia, durante l’Età del Ferro, il suo corpo e il suo volto sono tanto ben conservati da far credere a prima vista che la sua morte sia assai più recente.

Scoperto nel 1950, oggi esposto al museo Silkeborg in Danimarca, l’uomo di Tollund fu probabilmente ucciso e gettato nella palude come sacrificio agli dei della fertilità. Disposto in posizione fetale, vestito soltanto con un cappuccio di pelle chiuso da una cinghia annodata sotto il mento e da una cintura di pelle di bue in vita, aveva i capelli molto corti e una barba lunga di circa un giorno. Gli esperti ritengono che avesse un’età compresa tra i 30 e i 40 anni al momento della morte, probabilmente avvenuta per impiccagione proprio mediante quella cinghia ritrovata al suo collo. Il fungo allucinogeno ritrovato nel suo stomaco fa pensare che i suoi assassini gli abbiano offerto un palliativo per alterare il suo raziocinio prima del sacrificio rituale.

La principessa Ukok

Conosciuta anche come Mummia dell’Altai, la principessa Ukok era una giovane donna di etnia scita, morta intorno al V secolo a.C. in un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, e ritrovata in alcuni tumuli funerari sull’altopiano di Ukok, al confine tra Russia e Cina.

Sepolta in una bara di legno di larice, a sua volta intrappolata in una bolla di ghiaccio, la donna presentava intricati tatuaggi sulla spalla, sul braccio e sul ventre, era vestita di una camicia di seta cinese, una gonna di lana morbida e stivali. Al posto dei capelli, completamente rasati, portava una parrucca.

Dagli esami condotti sul corpo e sul luogo di sepoltura, è probabile che sia morta in primavera, data la presenza di polline, a causa di una caduta da cavallo, il che spiegherebbe le sue slogature e il cranio fratturato. Sorprende la presenza di un cancro metastatico della mammella e di una osteomielite che però non ne causarono la morte.

Nella sua camera mortuaria erano presenti, oltre a piatti di carne di cervo, yogurt e bevande, un miscuglio di erbe medicinali, forse per alleviare le sue sofferenze fisiche anche nell’Aldilà.

Claudia Moschetti

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Claudia Moschetti

Claudia Moschetti (Napoli, 1991) è laureata in Filologia Moderna. Ha insegnato italiano a ragazzi stranieri e scritto per un sito universitario. È attualmente recensora presso il blog letterario Il Lettore Medio e redattrice per il magazine La Testata. Dal 2015 al 2021 ha collaborato alla fiera del libro gratuita Ricomincio dai libri, di cui è stata anche organizzatrice.
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