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Perché Inganno su Netflix è un manifesto femminista nonostante le critiche

Dal 9 ottobre 2024, Netflix porta sugli schermi una serie italiana che intreccia passione, mistero e profondità emotiva: Inganno, con protagonisti Monica Guerritore e Giacomo Gianniotti.

Diretto da Pappi Corsicato, il dramma è una rivisitazione del celebre Gold Digger britannico, trasportato nella seducente cornice della Costiera Amalfitana.

Location da sogno, storia di seduzione e illusione, l’amore tra due persone appartenenti a generazioni differenti: il tema del forbidden love attira, rendendo Inganno la serie più vista del momento.

L’amore e la passione tra i due protagonisti, il bellissimo e giovane Elia e la ricca sessantenne proprietaria d’hotel Gabriella, mettono sullo schermo cliché e guilty pleasures, tra intrighi e sesso, tradimenti e bugie sono un sicuro intrattenimento per tute le età. Ma questa miniserie non si limita a raccontare una storia d’amore intergenerazionale: tocca temi rilevanti come il ruolo della donna nella società e la sessualità femminile in età avanzata. E il personaggio di Gabriella fa la differenza, soprattutto nell’inaspettato e sovversivo finale.

Attraverso la Gabriella di Monica Guerritore, una donna sessantenne che riscopre il desiderio e l’amore, Inganno sfida le convenzioni e i pregiudizi che circondano l’idea dell’età e della sensualità.

In un mondo che spesso ignora le donne mature, relegandole a ruoli marginali, questa serie spicca per la sua audacia. Monica Guerritore, con la sua interpretazione, dà vita a una donna complessa, forte, ma al tempo stesso vulnerabile. Gabriella non solo combatte contro i giudizi della società e della sua stessa famiglia, ma si scontra anche con la sua personale difficoltà nel lasciarsi andare a una passione che, nel corso degli episodi, si rivela sempre più intensa e pericolosa.

La serie esplora con tatto, ma anche con quale esasperazione facilmente perdonabile, la riscoperta della sensualità femminile oltre la giovinezza, un tema raramente trattato con la giusta attenzione in televisione o al cinema. Elia, interpretato da Giacomo Gianniotti, non è solo un giovane affascinante, ma anche un personaggio ambiguo, la cui presenza mette in crisi non solo Gabriella, ma anche i suoi figli. La sua figura rappresenta il punto di rottura delle dinamiche familiari, rivelando quanto i pregiudizi legati all’età possano influenzare le relazioni e la percezione della libertà individuale. Gianniotti, con la sua bellezza cis-mascolina ma non troppo, è il corpo del reato: sulle sue scene di nudo si incontrano e scontrano gli sguardi dei protagonisti e dello spettatore, ponendolo nella posizione di uomo-oggetto. Ma la bellezza offerta al pubblico non si limita alla prestanza fisica del suo protagonista maschile.

Tutta la costruzione fotografica e cinematografica di Inganno è un piacere visivo, quasi che il gioco della seduzione fosse attivo anche sull’audience: la Costiera Amalfitana fa da sfondo a questa storia intensa, con le sue viste mozzafiato e i suoi scorci romantici che contrastano con le tensioni emotive e morali dei protagonisti. Le location, da Amalfi a Positano, non sono solo scenografie, ma parte integrante della narrazione, accentuando la dualità tra la bellezza esteriore e i conflitti interiori.

Nonostante la trama a tratti melodrammatica e i colpi di scena, Inganno riesce a toccare corde profonde, soprattutto quando affronta il tema della liberazione sessuale femminile. Gabriella, in un viaggio personale di riconquista del proprio corpo e della propria autonomia, diventa un simbolo di emancipazione. La sua storia non riguarda solo l’amore, ma il diritto di ogni donna di vivere pienamente, senza essere vincolata dagli stereotipi che la società impone.

Se la serie a tratti può sembrare eccessiva nelle sue svolte narrative, è proprio in questa esagerazione che trova il suo fascino. Inganno è un’opera che sa far discutere, che provoca e invita lo spettatore a riflettere su cosa significa essere donna, madre e amante in un mondo che fatica ancora a liberarsi dai vincoli del patriarcato.

Sveva Di Palma

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Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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