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Tu sei mia. La fuga dell’appartenenza e il mostro del possesso

«Se la gelosia è un segnale d’amore, è come la febbre dell’ammalato, per il quale averla è un segnale di vita, ma di una vita malata e mal disposta.» 

Non c’è frase migliore se non questa sentenza lapidaria di Cervantes, che paragona la gelosia alla malattia, non all’altra faccia dell’amore come spesso si crede, tantomeno alla banalizzante giustificazione “sono geloso perché ti amo”. 

Tu sei mia. La mia donna, la mia ragazza, la mia compagna, la mia persona. Quante volte ci siamo sentite dire questa frase, che non indica appartenenza ma possesso

In molte culture e relazioni, esistono convinzioni diffuse che portano a confondere comportamenti tossici con gesti d’amore e d’affetto. Tra questi, la gelosia è spesso vista come un segno di interesse e passione, mentre alcuni comportamenti violenti e di controllo vengono accettati, normalizzati o persino giustificati come dimostrazioni d’amore. Questa distorsione della realtà può portare a situazioni pericolose, dove la violenza non solo viene tollerata ma anche richiesta come prova d’amore

Infatti, la gelosia è spesso romanticizzata, considerata al pari delle molte dimostrazioni di quanto il partner tenga alla relazione. Frasi come “è geloso perché mi ama davvero” o “la gelosia è una prova d’amore” sono veramente comuni e possono portare a giustificare comportamenti possessivi. 

Ma la gelosia non è un segnale d’amore, è un bisogno di controllo e possesso. La gelosia diventa una scusa per giustificare l’abuso.

Gelosia, quel drago che uccide l’amore con il pretesto di mantenerlo in vita.

Havelock Ellis

La mia domanda è: il confine tra forme d’amore e forme di violenza è chiaro? Gelosia, possesso, annullamento di sé per compiacere la persona che ci piace sono ormai una nuova frontiera del romanticismo? È chiaro alle ragazze e ai ragazzi che sono forme di violenza e non di amore

IL PRIMO AMORE

Quando ripenso ai primi amori in adolescenza mi ricordo momenti felici, spensierati, teneri, le “farfalle nello stomaco” e piccoli gesti romantici. Era l’incontro con l’altro, sono stati gli anni in cui ho imparato la danza dell’affettività. Per i ragazzi di oggi però la situazione sembra molto diversa. 

È sempre difficile per me parlare di violenza nelle relazioni di coppia, mi fa quasi male scriverne. La coppia deve essere un luogo quasi fisico dove due corporeità si uniscono per creare un terreno fertile e arricchente, non un luogo abitato da paura e controllo. Eppure… 

Eppure, da pochi anni si è iniziato a prestare attenzione al modo in cui la violenza si manifesta già nei giovanissimi. L’espressione usata per descrivere il fenomeno è Teen Dating Violence

LA SURVEY

Non amo i numeri, non amo i dati, li trovo asettici. Ma servono a capire il mondo dell’amore e delle relazioni degli adolescenti. A raccogliere le loro opinioni è stata Save the Children in collaborazione con Ipsos, pubblicandole nel rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”. 

Dal report, doloroso resoconto che ha analizzato le esperienze relazionali di 800 adolescenti, emerge che la gelosia è vista come un segno d’amore, che la geolocalizzazione e la condivisione delle password social sono prove di fedeltà, e che “uno schiaffo ogni tanto può anche capitare”. 

L’innamorato geloso sopporta meglio la malattia dell’amata che la sua libertà.

Marcel Proust

Vediamo qualche numero. Il 65% dichiara di aver subito controllo dal partner almeno una volta

E qui mi voglio fermare per una breve riflessione. Sai quali sono le due fondamenta su cui si basa la violenza di genere? Potere e controllo. Con queste due leve emotive il partner maltrattante riesce a imbrigliare la vittima a sé. Potere e controllo. Ora, il 65% degli intervistati (più della metà) ha subìto queste dinamiche all’interno di una relazione amorosa, dinamiche che si manifestano con il divieto di accettare contatti sui social, di non uscire con altre persone, col controllo dei profili, con la pretesa di non vestirsi in un determinato modo, fino al sentirsi dire che il partner avrebbe commesso un gesto estremo facendosi del male. Ma non è abbastanza. Il 52% degli adolescenti dichiara di aver subìto anche comportamenti violenti

Ed ecco la chiave di lettura del fenomeno. 

Il 30% degli adolescenti sostiene che la gelosia è un segno di amore e per il 21% condividere la password dei social e del cellulare con il partner è una prova d’amore. Mentre si attestano sul 20% gli adolescenti che hanno raccontato di ricevere con insistenza la richiesta di foto intime o di aver condiviso foto intime senza il consenso (15%). 

Sono il 19% le giovanissime spaventate da atteggiamenti violenti e aggressivi (botte, schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti). Il 17% delle ragazze e dei ragazzi pensa possa succedere che in una relazione intima “scappi” uno schiaffo ogni tanto

Claudio, 19 anni:

Il 60-70% delle ragazze che sono state fidanzate sicuro hanno preso uno schiaffo dal ragazzo, perché io ho tante amiche che mi hanno detto che magari non da quello con cui stanno adesso ma da quello prima sì. Io non posso farci più di tanto perché se una ragazza sta con un ragazzo nonostante lei prende botte sotto sotto a te piace perché sennò non posso comprenderla ‘sta cosa, vuol dire che un po’ ci stai tu, ecco.

Queste storie di violenza sono tanto online quanto offline: i due piani si intrecciano creando la nuova dimensione “onlife”. Qui la violenza di genere è trasversale per età e contesti sociali. E sono tutti atteggiamenti dolorosamente normalizzati. Gelosia, possesso e controllo sono giustificati e legittimati come l’unica forma valida per tutelare il rapporto. 

Trasuda da ogni dove un’incredibile dose di victim blaming, ossia la colpevolizzazione della vittima.

Infatti, per il 43% se davvero una ragazza non vuole avere un rapporto sessuale con qualcuno, il modo di evitarlo lo trova. E questo lo pensano anche le ragazze. Purtroppo, il 29% degli adolescenti è d’accordo con l’opinione che le ragazze possono contribuire a provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire e di comportarsi, e pensa che se una ragazza non dice chiaramente la parola “no” vuol dire che è disponibile al rapporto sessuale. Infine, il 21% è d’accordo con il fatto che una ragazza, seppur sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o di alcol, sia comunque in grado di acconsentire o meno ad avere un rapporto sessuale. 

IL CONTROLLO E LA GELOSIA

Al centro della manipolazione relazionale, come sospettabile, ci sono soprattutto i social, i veri protagonisti dei tentativi di controllo sull’altro. 

Roberto, 15 anni:

Magari uno che… anche con le parole… si può fare veramente del male solo per delle parole… che ne so la ragazza gli ha mandato una foto in intimo, questi due si lasciano e questo qua la fa girare cioè la ragazza ci potrebbe… è molto pericoloso. 

La gelosia corre veloce sui social e spesso ha comportamenti codificati che amplificano ogni dinamica e la portano all’estremo. Ma la gelosia è una forma di violenza. Infatti, il 52% degli adolescenti dichiara di aver subìto almeno una volta comportamenti violenti, dalle telefonate insistenti per sapere dove ci si trova al linguaggio violento con grida e insulti, fino all’essere ricattati per ottenere qualcosa che non si voleva fare, ricevere con insistenza la richiesta di foto intime o essere spaventato da atteggiamenti violenti. 

E così, la gelosia diventa un segno d’amore per il 30% dei ragazzi, la condivisione di dispositivi e password una prova d’amore e uno schiaffo ogni tanto qualcosa che “può capitare”.

Emerge comunque che, in caso di violenza fisica, prima di tutto se ne parlerebbe con la mamma (60%), poi il papà (43%) e le forze dell’ordine (26%). A seguire amici e le amiche, le sorelle e fratelli, il personale scolastico e i numeri di aiuto. Tra le misure ritenute più utili, il numero telefonico gratuito, lo sportello psicologico a scuola e gli insegnanti.

Quindi, tra gli adolescenti, il confine tra forme d’amore e forme di violenza è chiaro? La risposta è no. Infatti, dalla survey emerge che non è considerata violenza: 

  • toccare una persona senza il suo consenso,
  • baciare una persona senza il suo consenso, 
  • raccontare ad amici e amiche dettagli intimi del partner senza il suo consenso, 
  • dire quali vestiti si possono indossare e quali no,
  • impedire di accettare nuove amicizie online, 
  • chiedere di geolocalizzarsi quando si è fuori e voler sapere sempre con chi è, 
  • atti di gelosia immotivata, considerata un segno d’amore, 
  • chiedere al partner di condividere la password dei suoi profili social
  • controllare di nascosto il cellulare,
  • telefonare o messaggiare insistentemente una persona che ti piace, anche se non ricambia.

Questi dati riflettono una percezione distorta della violenza di genere e del consenso per una buona parte di adolescenti. Il fatto che il 20-25% di loro non consideri comportamenti come il toccare, baciare o rivelare dettagli intimi senza consenso come violenza è preoccupante, perché sono atti invasivi e non rispettosi dell’integrità personale. 

Questi numeri sono i ripetitori della cosiddetta “rape culture”, una pseudocultura che minimizza gli effetti dello stupro arrivando perfino a colpevolizzare le vittime, abbracciando l’idea che l’uomo sia strutturalmente un predatore e la donna una preda sessuale. 

La musica trap si fa spesso amplificatore di questa sottocultura: lo stupro viene promosso all’interno di un’estetica della violenza che alimenta il modello del maschio tossico e della ragazza bitch, oggetto sessuale usa-e-getta, senza diritti e col dovere di soddisfare il maschio.

È tutta un’illusione, queste donne non son magiche troie, se fingono un orgasmo sanno anche fingere di piangere. […] so che pure tu vuoi morire scopando.

Silent Bob, “Zitta”

Stronza, non sai quanto sto male, sai solo scopare […] T’ho dato na cinquina mica t’ho ammazzato er cane, poi che cazzo te l’ho data pure piano. Lo sai che si esci co le amiche me prude la mano. […] Ma che fai chiami le guardie, era no scappellotto nun fa l’offesa dai […] Sur Mac ce sta ancora quel filmino, si me gira me sa che lo metto in giro […] L’ho rivisto amò ma lo sai che te dico, eri bella co quer cinque sur faccino.

Pippo Sowlo, “Sirvia”

«Sei soltanto mia, mai più di nessuno» (Sfera Ebbasta & Elodie, “Anche stasera”).

«Preferisco vederti morta che con un altro.» (Emis Killa, “Tre messaggi in segreteria”).

E comunque, non è che negli anni ’90 le cose andassero poi tanto meglio: 

«Mi verrebbe di strapparti quei vestiti da puttana e tenerti a gambe aperte finché viene domattina, ma di questo nostro amore così tenero e pulito non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza

Marco Masini, “Bella stronza”

LA ROMANTICIZZAZIONE DELLA VIOLENZA

Questo è il vero problema: è nato tra i giovanissimi un nuovo binomio, una nuova connessione semantica, tra romanticismo e violenza in tutte le sue declinazioni. Indubbiamente gli adolescenti sottostimano le conseguenze della gelosia e del possesso, che vengono non solo normalizzate e giustificate, ma addirittura idealizzate, considerate come forme d’amore. 

La realtà è che gioca un ruolo fondamentale anche la cultura. Siamo inseriti in un determinato contesto, un sistema che agisce su ciascuno di noi. Da quando nasciamo, ne subiamo i suoi condizionamenti. I bambini vengono educati e socializzati ai ruoli di genere fin da prima di nascere, quando madri e padri hanno già chiaro in mente il ruolo di genere che il figlio avrà nel mondo. La famiglia, la scuola, i mass-media e la società si aspettano cose diverse da un maschio o da una femmina e questa aspettativa ci viene comunicata, e a nostra volta la comunichiamo, fin dalla più tenera età. Frasi come “devi essere forte, i maschi non piangono!” oppure “sii gentile, le femmine non si arrabbiano” diventano radici profonde per la relazionalità: la verità è che ancora si nasce sessisti, perché nasciamo in una società sessista.

Per approfondire: 

Elisabetta Carbone


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ILLUSTRAZIONE DI SONIA GIAMPAOLO

Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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