Alla ricerca di lentezza e tranquillità con i giochi da tavolo
Risiko, Cluedo, Monopoli, Scarabeo…tutti giochi da tavolo che mi fanno crescere una nostalgia verso il passato inspiegabile, con le serate a giocarci con amici e parenti.
Ma, a parte la nostalgia, crescono anche i numeri delle vendite relative ai giochi da tavolo, che diventano sempre più un posto dove cercare tranquillità e lentezza che, con la tecnologia, si sta perdendo sempre più.
Oltre ai grandi classici già citati, sono tanti i giochi da tavolo che in questi anni sono usciti sul mercato, facendo arrivare il giro di affari a quasi 13 miliardi di euro all’anno che, nel 2032, potrebbero superare i 30 miliardi.
I principali acquirenti sono i kidult, che hanno tra i 25 e i 39 anni, adulti nostalgici ma non troppo cresciuti: il 40% degli acquisti ricade su giochi strategici come Risiko, seguiti dagli sci-fi e dal fantasy, con il gioco di ruolo Dungeons & Dragons ai primi posti.
Il ritorno dei giochi tradizionali da tavolo si può spiegare con la necessità di staccarsi per un po’ dalla tecnologia, ai quali gli esperti attribuiscono anche un valore educativo: stimolano la creatività, migliorano le capacità di risoluzione dei problemi e sviluppano la strategia. In questo modo rendono i giocatori protagonisti attivi e non solo dei semplici spettatori di un algoritmo.
Altra crescita, è quella degli indipendenti e di piccoli editori che entrano nel mercato usufruendo di piattaforme di crowdfunding, in cui i giochi da tavolo sono i progetti più finanziati. Anche se, così facendo, si moltiplicano i titoli ma si dimezzano i tempi di permanenza sugli scaffali.
Può essere positivo per chi acquista, che ogni anno viene catapultato di fronte a migliaia di giochi inediti tra cui scegliere, ma per gli autori è un punto in svantaggio: come spiega Leo Colovini, che gestisce la società Studiogiochi, a La Repubblica, oggigiorno:
“il contratto medio che si riesce a strappare a un editore è del 6-7 per cento sul fatturato. Così se un gioco viene venduto al pubblico a 40 euro, l’editore solitamente ne guadagna 12, l’autore 72 centesimi”.
Di conseguenza, reinterpretano i bestseller facendogli indossare le vesti di serie tv o film del momento, invece di investire su prodotti nuovi.
Irene Ippolito
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