Cosa sono i carmina e la satura?
Se sei uno studente di letteratura latina sicuramente avrai sentito parlare dell’antico verso romano, “il carmen”: allora approfondiamo una delle parti più recondite nella storia della poesia
Il più antico verso romano è il saturnio e il primo componimento di cui si ha memoria è il carmen
[da cano= canto o dalla radice kas, di origine sanscrita, da cui sarebbe derivato il nome di Carmenta, l’antica dea del matrimonio e Camene (da Casmene), le Muse della poesia epica invocate nel carmen Priami (carmen convivale) e da Livio Andronico all’inizio della sua Odusia].
È un componimento solenne in prosa ritmica, marcata da frequenti ripetizioni, come anafore, omoteleuti, allitterazioni e rime, che dovevano favorire la memorizzazione e la trasmissione orale.
Hanno questa forma le composizioni più disparate, come preghiere, giuramenti, profezie, proverbi, scongiuri, le Leggi delle XII Tavole, etc.
Le Leggi delle XII Tavole, per esempio, costituiscono una grande conquista della plebe, che otteneva, all’inizio dell’epoca repubblicana, la certezza del diritto. È un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri, contenente regole di diritto privato e pubblico. Rappresenta una delle prime codificazioni scritte del diritto romano. Secondo alcuni studiosi, i redattori non avrebbero introdotto grandi novità, ma si sarebbero limitati a tradurre per iscritto gli antichi mores.
I Carmina religiosi
Il Carmen Arvale: canto propiziatorio intonato a maggio dalla confraternita degli Arvali (antico collegio sacerdotale) per i campi per chiedere abbondanza. Si facevano libagioni e offerte sacrificali nei campi coltivati (arvale da arvus). Secondo la leggenda, il collegio degli Arvali era stato istituito dallo stesso Romolo, fondatore di Roma, e ne facevano parte i dodici figli del pastore Faustolo, colui che aveva raccolto e allevato i due gemelli nel mito di fondazione della città. Per questo motivo i sacerdoti avevano l’epiteto di fratres, o “fratelli”.
Carmen Saliare: canto in onore di Marte. Ogni anno, in marzo e in ottobre, per celebrare l’apertura e la chiusura della stagione della guerra, i Salii (da salio: salto), i dodici sacerdoti di Marte, percorrevano in processione, vestiti da antichi guerrieri, i luoghi più importanti di Roma, intonando preghiere di invocazione agli dei, danzando e battendo con il piede il suolo con colpi forti e regolari in ritmo ternario (il tripudium), percuotendo con bastoni gli ancilia, i dodici scudi sacri di bronzo. Secondo la tradizione il collegio dei sacerdoti Salii era stato fondato dallo stesso Numa Pompilio per custodire l’ancile caduto miracolosamente dal cielo, segno divino che erano state esaudite le preghiere per la fine di una pestilenza, e gli altri undici perfettamente uguali al primo, costruiti proprio per evitare il furto dell’originario, dal fabbro Mamurio Veturio.
Il carmen lustrale: è accostato comunemente al carmen degli Arvali (di cui rappresenta una sorta di ‘variante privata’) ed è una preghiera propiziatoria dedicata a Marte in cui il pater familias chiede la protezione della familia, quindi di sé, della casa e dei servi. Lo riporta Catone il Censore, nel De agri cultura liber (141, 2-3), in forma alquanto rimodernata.
Carmina convivalia: canti di lode di antenati famosi intonati durante i banchetti (occasione fondamentale per rafforzare gli ideali di una classe sociale). Le imprese degli antenati erano esaltate per confermare modelli (exempla) sociali ed ideologici. Non è da escludere che molte delle antiche leggende romane (sugli Orazi, Clelia, i Fabi, i Deci…) siano sorte, nei loro nuclei originari, proprio in questi canti di convito (in corrispondenza delle leggende fiorite intorno agli eroi delle città greche).
Carmina triumphalia: brevi componimenti poetici cantati dai soldati che in corteo seguivano il rientro vittorioso del comandante a Roma. Hanno spesso carattere licenzioso.
Cos’è invece la satira?
Rappresentazione più complessa, di probabile origine etrusca. Nel 364 a. C., per scongiurare una pestilenza, secondo quanto attestato da Tito Livio (VII, 2), arrivarono nell’Urbe degli istrioni fatti venire dall’Etruria, che danzarono al ritmo del flauto, con movenze non scomposte. In séguito i giovani romani incominciarono a imitarli, lanciandosi anche delle battute reciproche con versi rozzi e muovendosi in accordo con le parole.
Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da hister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri (di qui l’etimologia <satura lanx: “piatto ricolmo di primizie”), eseguendo melodie ora scritte per l’accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati. In effetti, molti termini legati al teatro sono di derivazione etrusca: i Romani importarono dall’Etruria, insieme con i cosiddetti ludi gladiatori, l’uso della maschera, il termine persona (<Phersu: figura mascherata di una divinità infernale. Persona era la maschera costituita dalla corteccia degli alberi), e probabilmente anche i termini hister, ludio, subulo.
L’Atellana
È una farsa di origine osca recitata su un canovaccio, a differenza dei fescennini è caratterizzata da maschere fisse, quali Pappus (vecchio stupido), Maccus (mangione sciocco), Bucco (il fanfarone) e Dossennus (il gobbo astuto). Sorse presso gli Oschi di Atella (da cui prese il nome), una città della Campania tra le attuali Afragola e Aversa. Fu importata a Roma nel 391 a.C. Simile alla nostra commedia dell’arte del ‘500 l’atellana è un tipo di teatro popolare che ha dato le origini alle nostre maschere del carnevale.
Al prossimo approfondimento!
Lucia Russo
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