La Tregua di Natale: un momento di umanità nel cuore della Grande Guerra
Fronte occidentale, 24 Dicembre 1914. La terra, sfregiata nel volto e nell’anima dalle granate, assiste impotente al delirio di un’umanità che, sotto quella nube fitta e densa, finisce per uccidere solamente sé stessa.
Le luci di un Natale lontano, prezioso ricordo di una vita dimenticata, riscaldano i pensieri e i cuori dei soldati, mentre il gelo dell’aria penetra nelle loro ossa stanche e indolenzite.
Eppure, quella notte, qualcosa cambiò. Dapprima fu un canto che, flebile e incerto, si levò dal lato tedesco delle linee; “Stille Nacht, heilige Nacht…” recitava. Poi, come un’eco attraverso la notte, i soldati inglesi risposero:“Silent night, holy night…”.
Niente più spari, niente più boati, niente più lamenti all’orizzonte, mentre la guerra, da sempre invincibile regina, si trovò a dover fronteggiare un’umanità riunitasi sotto il segno dell’unione e della fratellanza. E fu così che, nel cuore di un’immensa tragedia, si presentò il Natale del 1914, per molti il più bello e universale della storia.
Ma partiamo dal principio.
Nell’estate del 1914 l’Europa era diventata teatro di una guerra che, ancora alle sue prime luci, sarebbe ben presto divenuta una delle peggiori stragi che l’umanità abbia mai conosciuto. Due gli schieramenti contrapposti: Gran Bretagna, Francia e Russia da una parte; Germania, Austria-Ungheria e Turchia dall’altra. Più tardi sarebbero entrati nel conflitto anche Bulgaria, Giappone, Italia e Stati Uniti, trasformando uno scontro che si sarebbe dovuto concludere in pochi mesi, in una guerra su scala globale. In quelle che furono le sue prime fasi, la battaglia si concentrò soprattutto sul fronte occidentale, precisamente tra il Belgio e la Francia, dove le truppe inglesi e francesi cercarono di respingere l’avanzata tedesca.
Dopo una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, tuttavia, gli eserciti si ritrovarono impantanati in un’estenuante guerra di logoramento, guadagnando e cedendo pochi metri di terreno al giorno e trascorrendo il resto della loro esistenza segregati nelle trincee. Le disastrose condizioni umane dei soldati, costretti alle intemperie e ai morsi della fame, contribuirono a diffondere un crescente malcontento tra i reparti e gli ufficiali dei comandi, dopo aver dato l’ordine di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, fecero arrivare, nelle prime linee dei rispettivi schieramenti, dei piccoli pacchi dono contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. In fondo, nonostante tutto, era pur sempre Natale. Fu questo il momento in cui dapprima i tedeschi e poi gli inglesi cessarono il fuoco e abbandonarono le loro postazioni, mentre, accendendo candele e intonando inni, fecero risuonare, ognuno nella propria lingua, un botta e risposta di auguri gridati da lontano.
«Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’altra parte giunsero fischi di gioia e applausi […]. Poi cantammo tutti insieme», testimonierà in seguito il soldato tedesco Kurt Zehmisch, e quel canto di unione, forte come una dichiarazione d’amore per troppo tempo taciuta e resa segreta, riecheggiò nell’aria gelida e finì per scuotere la terra. A nulla valsero i richiami dei comandanti quando, all’alba del giorno successivo, i tedeschi esposero dei piccoli cartelli con le scritte “Buon Natale” e “Non sparate, noi non spariamo”, mentre ricominciarono, ancor più forti di prima, i canti e gli applausi. Spronato da quel clima che, seppur gelido, sembrava essersi dimenticato degli orrori della guerra, un uomo uscì dalla trincea tedesca; nella nebbia gli inglesi lo videro appena, disarmato nel bel mezzo del campo di battaglia. E come una brace nascosta sotto la cenere e che al soffio improvviso del vento torna a divampare, così il coraggio, risvegliato da quell’evento, si accese negli animi degli inglesi che, usciti dalle loro trincee, si incamminarono verso i loro compagni tedeschi, mentre questi ultimi fecero altrettanto.
A quel punto la magia del Natale era completa: uomini di diversa lingua e di diversa nazionalità deposero le armi e si riconobbero, per la prima volta dopo mesi, semplicemente umani; si regalarono caffè, cioccolata, marmellata, sigari, tè, whiskey e persino stellette e distintivi, mentre alcuni di loro si fecero anche fotografare insieme, nel momento di un abbraccio o di una rispettosa stretta di mano. «Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra», disse il soldato britannico Bruce Bairnsfather che, quel giorno, vide davanti ai suoi occhi ciò che mai si sarebbe aspettato. Ma la pace, si sa, ha sempre avuto vita breve e, prima che gli alti comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe mirato ad altezza uomo, ma reso inoffensive le munizioni “sparando alle stelle del cielo”.
Poi, ahimè, di nuovo il boato. «Ci salutammo e rientrammo nelle trincee […] poi udimmo dei colpi […]: la guerra era ricominciata» (J. C. Dunn). Ma se, in quel freddo 1914, neanche il Natale bastò a placare l’insensatezza della guerra, oggi ci auguriamo che la sua magia possa far breccia nel cuore di chi, in tutto il mondo, comanda uomini con in braccio un fucile, fratelli prima che nemici, uomini prima che soldati.
Antonio Palumbo
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