Un eco dall’eterno: il mondo di Omero
Nel chiarore incerto dell’alba, quando il mondo antico era solito destarsi avvolto dal respiro salmastro del mare, un uomo solitario sedeva al bordo della storia.
Non aveva un volto che il tempo avrebbe potuto ricordare, né una patria da calpestare.
Eppure, Omero – se mai fu davvero un uomo o soltanto un’ombra collettiva – era destinato a plasmare l’immaginario di infinite generazioni successive.
I suoi occhi, forse spenti o forse spalancati sull’infinito, vedevano guerre e viaggi, dei capricciosi ed eroi tormentati. La sua voce, forte come una tempesta e dolce come una nenia, dipingeva con le parole il mondo del mito, un immaginifico universo in cui i venti potevano essere trattenuti in un otre e le città cadere a causa dell’inganno e della spada.
Ma chi era, davvero, il padre dell’Iliade e dell’Odissea? Si trattò di un uomo in carne ed ossa, dello straordinario lascito di un popolo intero, oppure la sua fu la voce dello stesso destino che, nella sua poesia, governa il mondo e la storia?
Definito da Platone come massimo poeta e primo tra i compositori di tragedie, Quintiliano lo considerò, soprattutto in virtù della sua unica capacità di adattarsi a qualsiasi tema, un modello del tutto inarrivabile per i suoi contemporanei, mentre, in epoche più recenti, Giacomo Leopardi lo apostrofava padre e perpetuo principe di tutti i poeti del mondo. Insomma, ad Omero certo non mancarono le lodi della storia, anche se, a conti fatti, se non consideriamo le opere a lui attribuite, non sappiamo quasi nulla sulla sua esistenza.
Il primo autore a nominare esplicitamente il poeta fu, infatti, il filosofo Senofane, vissuto nel VI secolo a.C., mentre, circa un secolo più tardi, lo storico Erodoto affermava che Omero sarebbe vissuto 400 anni prima di lui e, dunque, attorno all’850 a.C. Ad oggi, grazie all’osservazione di una serie di riferimenti interni ai poemi stessi e relativi essenzialmente a istituzioni e costumi al tempo vigenti, ma anche grazie all’archeologia dei vasi, ritraenti scene dei poemi, è possibile datare l’Iliade e l’Odissea attorno al 750 a.C. Per i Greci e per l’intera cultura occidentale, quest’anno deve essere considerato come una sorta di anno zero, un primigenio punto di origine che segna l’inizio di un processo così duraturo da durare tutt’oggi, a quasi 3000 anni di distanza; di fatto, in ogni poema, verso e strofa, in ogni racconto, novella o romanzo, in ogni cronaca, diario o resoconto, e persino in ogni dipinto, scultura o architettura successivi sopravvive, ancora oggi, un piccolo frammento di Omero e della sua opera, tanto da poterci tutti considerare lontani nipoti spirituali di qualcuno che, probabilmente, non è nemmeno mai esistito.
Tuttavia, per quanto ne sappiamo, nessuno nell’antichità dubitò mai della reale esistenza di Omero e ci si interrogò, piuttosto, sulla sua provenienza e sulla sua attività di scrittore; furono varie le città che, in una vera e propria competizione, si vantarono di aver dato i natali al grande poeta e tra esse ricordiamo Smirne, Pilo, Chio, Colofone, Argo, Atene e Itaca, mentre, per quanto riguarda le sue opere, già i filologi dell’antichità iniziarono a dubitare che gli innumerevoli scritti che circolavano a suo nome fossero tutti da attribuire ad Omero a cui, tuttavia, si accordavano senza discussione l’Iliade e l’Odissea.
Secondo la tradizione, inoltre, dopo una vita trascorsa come rapsodo, ovvero come poeta itinerante che, accompagnato dal suono della sua cetra, fece risuonare l’eco della sua arte in tutto l’Egeo, divenne cieco e, nonostante questo, continuò a scrivere. Un così immenso dono poetico, infatti, non poteva certamente essere sprecato e Calliope, Musa della poesia epica, divenuta ormai compagna del vecchio poeta, guidò la sua mano e inspirò i suoi versi, permettendogli di completare l’opera per cui egli stesso era nato e a cui sembrava essere destinato.
E se un velo di mistero avvolge la nascita e l’intera esistenza di Omero, i dettagli sulla sua morte appaiono ancora più incerti; alcune leggende, infatti, sostengono che, dopo aver raggiunto un’età molto avanzata per l’epoca in cui visse, egli sarebbe morto nell’isola greca di Ios e, infine, sepolto proprio in quel luogo. Ad oggi, il nome di Omero rifugge l’oblio grazie alle sue inestimabili opere, ma anche in virtù della cosiddetta questione omerica, un aperto dibattito che, coinvolgendo studiosi odierni e di ogni epoca, ha cercato di risolvere il grande mistero legato alla figura di quest’uomo. Sia egli stato un genio visionario, oppure un attentissimo compilatore di storie che furono, piuttosto, il risultato di una lunga tradizione orale già consolidata, probabilmente non ci sarà mai dato saperlo, ma la sua poesia, non diversa da un messaggio in bottiglia che l’oceano del tempo ci ha restituito con tutti i suoi enigmi e con tutti i suoi misteri, continuerà a rievocare una melodia antica che risuona dentro ognuno di noi, guidandoci verso un passato che non conosciamo, ma che, in fondo, abbiamo sempre sentito come nostro.
Antonio Palumbo
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